Laura è una delle più popolari studentesse del college, piena di amici (anche su Facebook, dove ne conta oltre 800) e da poco fidanzata. Un giorno la ragazza riceve la richiesta d'amicizia sul popolare social network da parte della solitaria Marina, una sua compagna di corso dal carattere schivo e misterioso. Dopo averla aggiunta Laura viene costantemente sommersa di messaggi dalla coetanea, che non esita a scriverle incessantemente anche durante le ore notturne; quando Laura posta sul suo profilo le foto della festa di compleanno, al quale Marina non è stata invitata, quest'ultima le fa una scenata alla mensa scolastica. La giovane decide così di eliminarla dagli amici di Facebook, provocando in Marina una forte depressione che la porta al suicidio: ma l'incubo è appena agli inizi e, oltre ad inquietanti video provenienti dalla pagina della deceduta che appaiono inspiegabilmente in rete, anche i migliori amici di Laura cominciano a morire in circostanze misteriose. In seguito al grande successo di Unfriended (2014), primo horror girato esclusivamente utilizzando le videochat, il produttore Jason Blum ne ha commissionato una sorta di film gemello, affidandosi ad una produzione tedesca per la regia del figlio d'arte Simon Verhoeven (primogenito del regista Michael e della nota attrice Senta Berger). Nonostante i fondi teutonici, Friend Request - La morte ha il tuo profilo è stato completamente girato in Sud Africa e con attori di lingua inglese, ma questo poco cambia in una narrazione dal carattere universale. Questa volta non è Skype bensì Facebook il social network da cui tutto inizio e lo stile di ripresa è quello classico, quindi niente camera a mano o schermate di computer a far da sfondo alla progressiva mattanza di genere. Se in tempi recenti già il particolare #Horror (2015) aveva messo al centro dell'attenzione la sempre più diffusa dipendenza da social network, qui la necessità di una società "obbligata" a rimanere sempre connessa si ibrida con immediatezza ai tipici canovacci del filone, con improvvise apparizioni che seguono pedissequamente i canoni ormai imposti alla modernità post Ringu (1998), incluso un finale che guarda e non poco alle atmosfere evocate dal cult di Hideo Nakata. Gli spaventi, seppur facili e parzialmente prevedibili, non mancano di certo: Verhoeven è infatti bravo a generare alte dosi di tensione sfruttando gli immancabili trucchetti che giocano sugli abusati leit motiv ambientali, dagli specchi all'ascensore, in una sorta di efficace copia-incolla che, complice un cast giovane e convincente, intrattiene senza troppi problemi nei novanta minuti di visione.