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Sieranevada

03/06/2017 10:00

Riccardo Bassetti

Recensione Film,

Sieranevada

La casa, la famiglia e la Romania di Puiu

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A pochi giorni dall'attentato contro la redazione di Charlie Hebdo e a quaranta dalla morte del padre, Lary decide di trascorrere un weekend in famiglia, riunita al completo per commemorare la dipartita del patriarca. Medico non più giovane, Lary sarà costretto a fronteggiare il suo passato, le sue paure, a riconsiderare il ruolo all'interno del nucleo familiare, ma soprattutto a dire la sua parte di verità.


Per il cinema rumeno è un periodo di punta. Dopo il successo a Cannes 69 di Un padre, una figlia di Cristian Mungiu e Dogs di Bogdan Mirica, la Romania torna a farsi sentire con Sieranevada di Cristi Puiu (di nuovo sul grande schermo dopo sei anni di assenza). Sembra ricadere nelle “sei storie dalla periferia di Bucarest” il nuovo film di Puiu, che sembra pensato per restituire profondità e credibilità cinematografica a una realtà come quella rumena, troppo a lungo ignorata dalla critica e dalle case di produzione. Così dopo l'oscuro racconto di un imperatore tra le rovine di una Bucarest periferica in Aurora e quello surreale, buzzatiano di La morte del signor Lazarescu, Puiu sposta la camera all'interno di un appartamento buio e claustrofobico per confrontarsi con il tema della famiglia. Smartphone, caffettiera e uncinetto: sono tre, forse quattro le generazioni che si accavallano negli angusti spazi dell'appartamento, dove il grottesco è di casa e la memoria un'occasione per innescare una concatenazione emotiva a cui non si può sfuggire.


Lo spettatore è trascinato da Lary in giro per ambienti e corridoi claustrofobici, offrendo l'impressione di galleggiare sempre al di sopra dei conflitti, di poterli assaporare da un punto di vista privilegiato. L'incipit, con un piano sequenza da sei minuti; la fotografia scura e simbolica di Barbu Balasoiu; i dialoghi serrati, dagli impeti esistenzialisti: tutto in Sieranevada lascia pensare al grande cinema d'autore, capace di raccontare le lacerazioni dell'uomo comune con un'intima lingua cinematografica. Un film d'interni, lungo quasi tre ore, con rare interferenze di esterni, che affida alla voce di preti inusuali, vecchie nostalgiche e ferventi complottisti il filo di una narrazione corale, spesso esistenzialista. Ma c'è molto di più nell'ultimo film di Cristi Puiu: c'è uno spaccato di vita contemporanea, ci sono ragazzi senza collocazione, uomini senza ideologie, donne richiuse nel loro dolore e anziani arroccati nei loro rituali vecchi cent'anni. C'è tanta vita da scordare che si tratti di una commemorazione funebre.


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