Sette ragazzi della Roma bene, che sono soliti frequentarsi fra circoli e centri sportivi di altissimo livello, decidono di campeggiare in mezzo a un bosco. Questa gita fuori porta li costringerà a confrontarsi con qualcosa di inaspettato e rinunciare alle loro consuete comodità non sarà l’unica sorpresa durante il soggiorno. Mostreranno i lati più oscuri delle personalità , in balia degli eventi per un viaggio che mette a nudo più dubbi che certezze. La giovane regista Alessandra Carlesi vuole mettersi in gioco davanti e dietro la macchina da presa e, nella sua opera prima, dirige e recita un horror movie che intende strizzare l’occhio al thriller. L’ossimoro nel titolo Le grida del silenzio dimostra immediatamente quanto le ambizioni di questo progetto siano elevate: non c’è soltanto la voglia di riportare sugli schermi italiani un film dell’orrore credibile, ma anche l’intento di farlo partendo da qualcosa di inatteso e sorprendente. Iniziare raccontando la parte più altolocata di Roma rappresenta un ragguardevole azzardo, perché vuol dire rapportarsi a un universo in grado di offrire numerosi spunti controversi ma non troppo inclini alla paura e all’imprevisto. Roma nord è da sempre sinonimo di agiatezza, tranquillità e sfarzo. In una simile realtà , i lati oscuri vanno ricercati dove non batte il sole. Per questo, dopo un prologo descrittivo, le vicende vengono spostate altrove: fuori da Roma nord, i protagonisti sono al pari di esuli che trovano nel bosco un pretesto per scendere a patti con le proprie incertezze. Allontanare un gruppo di ragazzi dalla propria confort zone vuol dire scavare in qualcosa di accidentale. La vera paura, al giorno d’oggi, è confrontarsi col cambiamento immanente. Buona l’idea di congegnare un horror lontano dai canoni più battuti, manca però il materiale per creare qualcosa di affascinante in grado di garantire la giusta dose di pathos e intrighi. Non sono bastate musiche coinvolgenti a sorreggere un’intelaiatura narrativa piuttosto debole: i dialoghi e le interazioni fra le diverse personalità risultano piuttosto superficiali e prevedibili. La scontatezza è da evitare come fosse un virus, in special modo nei film horror. Siamo al cospetto di una buona idea, che poteva essere sviluppata meglio. Alessandra Carlesi si è limitata ad assemblare qualche stereotipo socio-culturale sperando che emergesse in un altro contesto e che la suspense facesse il resto. Tuttavia, ogni emozione va calibrata e costruita. Ancor di più se l’intento ultimo è instillare un tarlo in chi guarda, per capire – scena dopo scena – dove si andrà a parare. Le potenzialità di quest’opera sono palpabili, quel che fatica a emergere è una resa convincente che non può essere affidata soltanto a particolari tecniche di montaggio. Si evince quasi la paura di osare, per un'impresa che poteva essere un tassello verso l’innovazione di genere e invece finisce col diventare uno dei tanti tentativi di riproporre un cinema che, sicuramente, non è alla portata di chiunque.