Denzel Washington torna a vestire i panni di Robert McCall, in passato agente segreto, che vive a Boston e si guadagna da vivere facendo l’autista. Ma gli istinti si riaccendono non appena l’amica Susan viene incaricata delle indagini su un suicidio che potrebbe essere omicidio. Le difficoltà del caso, assieme allo zampino di Dave York – collega di vecchia data – spingeranno nuovamente McCall a mollare il volante per riprendere in mano la pistola. Primo sequel nella carriera professionale di Washington, forse non è un caso che dopo tanti anni l’attore abbia scelto di misurarsi due volte con lo stesso personaggio. La morfologia di McCall, in questo secondo capitolo, The Equalizer 2 - Senza perdono, è duplice: uomo spensierato con una cultura superiore alla media da una parte e agente segreto in pensione dall’altra. Se i cult di categoria ci hanno insegnato quanto personaggi simili possano attecchire sul pubblico (pensiamo per un attimo a Danny Glover in Arma Letale, fedele servitore dello Stato americano a un passo dalla pensione che, però, non rinuncia a mettersi in gioco quando serve), l’opera di Antoine Fuqua dimostra come la validità di determinati meccanismi narrativi possa rafforzarsi dinnanzi a una spinta motivazionale. McCall, in questo frangente, potrebbe tranquillamente dedicarsi alla routine. Continuare a vivere una vita tranquilla. E invece il passato torna prepotentemente a bussare alla sua porta e l’attore statunitense riparte da questo personaggio, da dove l’avevamo lasciato, con qualche interrogativo in più. Fuqua, stavolta, arricchisce il bisogno d’azione con il risvolto psicoanalitico della vendetta: il protagonista non tende a farsi giustizia da solo, né tantomeno vuole assurgere allo status di risolutore, ma ha la consapevolezza – senza risultare borioso – di essere indispensabile. Allora, con queste premesse, siamo pronti a rivivere quegli aspetti non approfonditi nel primo episodio della saga (come, ad esempio, il destino della moglie di McCall). Il coefficiente di violenza, dunque, resta piuttosto alto. In aggiunta, però, è possibile notare come gli spargimenti di sangue e le scene più cruente siano mirate. Se è possibile, Denzel Washington è uno dei pochi attori in grado di fornire una contestualizzazione alla veemenza. Robert, il suo personaggio, agisce in un determinato modo per necessità quasi, non per compiacimento. Fino a far emergere la figura di un vendicatore morale, in grado di rimettere le cose a posto nell’unico modo possibile: nessuna violenza gratuita, quindi, ma solo tanta abnegazione verso quell’ideale utopico di rettitudine. Seppur questo implichi, per buona parte del girato, dover ricorrere a mezzi non sempre leciti. Non c’è un nemico comune, ma tanti piccoli avversari da fronteggiare su più campi che spingono il protagonista a porsi di volta in volta in maniera diversa. Numerosi cambi di fronte rendono l’opera molto scorrevole e dinamica al netto di esigui espedienti narrativi. E se il primo capitolo serviva a dimostrare le potenzialità di un uomo estrapolato dalla propria routine, il secondo stabilisce quanto lo stesso uomo possa dover tornare sui suoi passi per rielaborare questioni in sospeso con le quali non sempre è riuscito a convivere.