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Shark - Il primo squalo

13/08/2018 10:00

Andrea Desideri

Recensione Film,

Shark - Il primo squalo

Jon Turteltaub porta nuovamente al cinema uno squalo impazzito, ispirandosi al romanzo di Steve Alten

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Jonas Taylor, esperto sommozzatore specializzato in salvataggi, viene reclutato da un facoltoso ocenografo cinese. Dovrà salvare i membri dell’equipaggio di un sottomarino che giace in avaria sul fondo dell’oceano, in seguito all’attacco di un grosso squalo. La pericolosità dell’animale è risaputa, ma questo, in particolar modo, attira l’attenzione dello studioso: si tratta di un gigantesco esemplare di Megalodonte, una razza considerata ormai estinta. Taylor dovrà mettere in gioco ogni sua competenza per salvare vite umane inconsapevoli, soprattutto al cospetto di una creatura così imprevedibile.


Jon Turteltaub porta nuovamente al cinema uno squalo impazzito e impaziente, ispirandosi al romanzo di Steve Alten. Cambia il titolo rimpiazzando l’originale The Meg con un più congeniale Shark - Il primo squalo che non richiama immediatamente l’esemplare di Megalodonte. Tuttavia, l’animale resta il perno della vicenda e, come in ogni thriller che si rispetti, presenta tutte le caratteristiche dell’esemplare lacerato e incattivito che sfoga ogni suo istinto su masse inermi.


Stavolta è toccato a un equipaggio pagare il conto: in mezzo al mare, un sottomarino giace in totale assenza di soccorso. Tocca a Jason Statham - il suo è sempre il giusto physique du role per questo genere di film – rimettere le cose a posto, ovviamente nel minor tempo possibile. Malgrado la prevedibilità della storia, il film è un insieme di citazioni e omaggi che possono risvegliare la passione per gli amanti della categoria. Certamente questo gusto vintage è costato più di qualche critica ad Alten (autore del romanzo da cui è tratto il film) che ha dovuto difendere in maniera serrata il lavoro del regista e della produzione.


L’aspro dibattito avvenuto sui social network tra i fan e lo scrittore ha aggiunto curiosità a un’opera non proprio imperdibile: sappiamo che molte scene sono state tagliate in post-produzione, perché troppo cruente, e il mistero attorno al materiale scartato ha alimentato l’interesse del pubblico e degli appassionati del genere. A questo si aggiungono le dichiarazioni del regista, che ha abilmente sorvolato la questione: «Abbiamo girato e anche realizzato un sacco di effetti visivi per le scene più cruente. Poi ci siamo resi conto che non sarebbe stato possibile mantenere questo PG-13 se le avessimo mostrate. È un film troppo divertente per non permettere a quelle persone che non amano il sangue e a quelle che hanno, diciamo, meno di 14 anni di andare a vederlo».


Questa ostentata sobrietà cozza con l’intento iniziale del progetto e il risultato è un film d’azione con il freno a mano tirato. Un compromesso implicito che non giova alla natura della vicenda e rischia, così, di affogare nella banalità più assoluta. Se è vero che a Jason Statham tutto è permesso, sarebbe stato ancor più lecito aspettarsi una maggiore spinta sull’acceleratore. Proprio perché alla base c’era un sentiero già percorso in passato, era necessario fare di tutto affinché si alzasse ulteriormente l’asticella senza temere possibili ripercussioni.


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