Proseguono le vicende dei personaggi di Happiness. Joy scopre che suo marito Allen non è guarito dal particolare problema che aveva quando lo ha conosciuto e lo lascia, tornando dalla sua famiglia. Il suo pretendente di un tempo, Andy, ora defunto, continua a provare a conquistarla anche dall’aldilà; sua sorella Trish incontra Harvey, un divorziato solitario in pensione, e spera così di aver trovato nuovamente l’amore e un padre per i suoi figli; Helen, divenuta famosissima, si sente immolata sia alla famiglia sia al suo successo hollywoodiano. La madre Mona non riesce a liberarsi dal rancore che prova nei confronti degli uomini; il figlio di Harvey, Mark, ha problemi di isolamento ed emarginazione; Bill, l’ex marito di Trish, appena rilasciato dal carcere, tenta strenuamente di farsi perdonare dal figlio Billy, e infine Jacqueline, una donna sola e non più giovane, nella sua disperata ricerca dell’amore, mette a rischio la sua sicurezza. Dopo unidici anni dall’uscita di Happiness, Todd Solondz torna a parlare delle vicende complesse e drammatiche della famiglia Jordan. Vincitore del premio per la Miglior Sceneggiatura alla 66esima Mostra di Venezia, Life during Wartime conferma l’originalità e l’umorismo già apprezzati nel film del 1998 di uno dei registi più interessanti del cinema indipendente americano. Tornano gli stessi personaggi ma non gli stessi attori. Stavolta accanto a volti importanti del mondo cinematografico, come Allison Janney (American Beauty) e Charlotte Rampling (Il portiere di notte), ci sono attori altrettanto talentuosi ma conosciuti per lo più al di fuori dei confini statunitensi, come Shirley Henderson (Trainspotting,Wonderland) e Ciáran Hinds (Il petroliere, Munich). Cambiano gli interpreti e anche lo scenario: le vicende si spostano in Florida, nel New Jersey, a Los Angeles e Oregon (anche se la maggior parte delle riprese sono state girate in Portorico). La scenografia, curata da Roshelle Berliner e la fotografia di Ed Lachman attribuiscono a tutta la pellicola grande luminosità, colori vivi e uno stile molto raffinato. Una genialità pura condita da un umorismo sottile e caustico ma temperato da una sensibilità profonda. L’anima di Happiness è stata preservata tutta, se non addirittura potenziata in una progressione tematica che tocca l’intera produzione del regista: era partita dall’adolescenza con Fuga dalla scuola media, per proseguire con l’infanzia in Palidromes e continuare con la famiglia in Happiness. Perdona e dimentica indaga lo stato post-traumatico di quella stessa famiglia Jordan, alle prese con il superamento dei propri drammi (come la perversione sessuale, l’omicidio, il suicidio). Ma anche quello di una nazione di fronte allo shock dell’11 settembre che velatamente (e neanche troppo) affiora dai dialoghi sempre originali, innovativi e coinvolgenti. “Perdona e dimentica”, due parole che sono il nucleo del film in cui al centro c’è un dubbio: è meglio capire e perdonare senza poter dimenticare la sofferenza che viviamo o dimenticare tutto per non soffrire senza riuscire però a perdonare? Le perversioni, le nevrosi della società americana, coperte da un edulcorato (e ipocrita) velo di apparenza, dopo essere state smascherate nel primo film, qui vengono superate e metabolizzate. Si cerca la riappacificazione, il perdono (come quello di un padre arrestato per le sue devianze sessuali che, dopo essere stato scarcerato, si preoccupa di capire se il figlio è diventato un mostro come lui e in qualche modo gli chiede perdono). Solondz, a parte le esagerazioni dovute a un umorismo eccessivamente cinico che finisce per stonare con la delicatezza di alcuni temi, mettendo quindi in difficoltà lo spettatore, si conferma comunque maestro di un filone poco incoraggiato, purtroppo, nell'industria cinematografica americana.