Dopo il pluripremiato Salvatore, questa è la vita, film girato a Pachino, sua città natia, il regista siciliano Gian Paolo Cugno porta in sala la sua seconda opera, un affresco storico della seconda metà del Novecento, che parte dalla Sicilia arcaica degli anni’60 per arrivare agli anni’80, interpretato da un cast corale, tra cui Giancarlo Giannini e lo storico tandem Franco Interlenghi/Antonella Lualdi. Il nucleo narrativo è incentrato sulla vita dei due protagonisti: i fratelli Giuseppe (David Coco) e Giorgio (Marco Bocci), cresciuti senza un padre tra i vigneti dell’entroterra siciliano, sono gelosissimi della madre (Maria Grazia Cucinotta), che prova a fare l’attrice persuasa dal produttore-amante Romolo (Raoul Bova). Ma un’esplosione cambia il destino di tutti. L’incidente rende cieco Giorgio, che decide di andare a Torino insieme al fratello per tentare un’operazione agli occhi. Lì conoscono Caterina (Simona Borioni), la segretaria di un dirigente Fiat assassinato dalle Brigate Rosse, che porteranno con loro in Sicilia. «Ho tante storie nel cassetto e probabilmente non le farò mai, quindi le metto insieme e faccio un unico film». Queste le parole del regista e proprio in questa sua volontà risiede il fallimento de La bella società: troppe sono le storie male assemblate e che rimangono in superficie. Cugno vuole raccontare uno spaccato dell’Italia, spaziando dall’Italia rurale delle campagne di Enna al terrorismo delle BR fino alle lotte contadine per la crisi del grano. Allo stesso tempo spazia anche a livello stilistico: nella prima parte attinge completamente da Tornatore, poi sembra voler rifare La meglio gioventù, infine precipita in una telenovela melodrammatica. Descrive un ventennio cruciale della storia italiana senza alcun approfondimento storico, in una visione post-ideologica che abbonda di cliché. Si usa dire “tutto fa brodo”, ma ne La bella società è proprio il caso di affermare “il troppo stroppia”.