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Le quattro volte

31/05/2010 11:00

Giulia Lucchini

Recensione Film,

Le quattro volte

Dopo Il dono (2003) Michelangelo Frammartino ci dona un'altra opera: Le quattro volte, applaudito alla Quinzane des Rèalisateurs e vincitore del Palm Dog per il

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Dopo Il dono (2003) Michelangelo Frammartino ci dona un'altra opera: Le quattro volte, applaudito alla Quinzane des Rèalisateurs e vincitore del Palm Dog per il cagnolino del pastore Vuk! L’ispirazione nasce dalla concezione delle vite incastrate di stampo pitagorico: “Abbiamo in noi quattro vite successive, incastrate l’una dentro l’altra”, l’uomo è un minerale, un vegetale, un animale e infine un essere razionale; “abbiamo dunque quattro vite in noi e dobbiamo quindi conoscerci quattro volte.”


Ambientato a Caulonia, un paese calabrese abbarbicato su alte colline, un vecchio pastore malato vive i suoi ultimi giorni pensando che la polvere raccolta dal pavimento della chiesa lo possa guarire. Una capra dà alla luce un capretto bianco, ma il giorno della sua prima uscita il capretto rimane lontano dal resto del gregge, si perde e alla fine si abbandona esausto ai piedi di un abete. Un grande abete cambia mentre scorrono le stagioni. Il legno dell’abete si trasforma in carbone.


Frammartino riflette sui passaggi indecifrabili tra queste quattro volte attraverso la macchina da presa e un montaggio sonoro incredibile senza nessun dialogo. Ci trasporta in una visione poetica sui cicli della vita e della natura, in un luogo senza tempo. Grande cultore delle arti visive, le sue immagini sembrano quadri e certe scene video installazioni (come il giornale dove sopra passano le formiche - Frammartino ha infatti collaborato con Studio Azzurro). Le quattro volte invita al viaggio in un mondo scomparso, nella memoria di ciò che ci ha preceduto raccontando con le immagini l’invisibile: negli occhi di una capra, nel cane che rincorre un bastone, nel mistero della nascita sofferta del capretto.


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