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Maschi contro femmine

03/11/2010 12:00

Erika Di Giulio

Recensione Film,

Maschi contro femmine

Primo capitolo di un dittico che troverà compimento solo a Febbraio in un sequel già impacchettato e pronto all’uso, Maschi contro femmine accende la miccia ten

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Primo capitolo di un dittico che troverà compimento solo a Febbraio in un sequel già impacchettato e pronto all’uso, Maschi contro femmine accende la miccia tentando di raccontare l’eterno conflitto che contrappone l’uomo alla donna, in una guerra tra sessi senza esclusione di colpi. Al solito, un gioco ad incastro e una trama fitta e veloce di storie che entrano ed escono l’una dall’altra senza chiedere permesso (qui addirittura due film gemelli che dialogano a distanza).


Walter (Fabio De Luigi) e Monica (Lucia Ocone) sono una giovane coppia alle prese con il primo figlio. Tra pappe e pannolini l’intimità è gravemente minacciata. Quattro amici al bar dispensano tentazioni da tavolo, e fanno fiumi di chiacchiere da maschi che vanno via veloci, ma Walter è un marito fedele (o semplicemente vigliacco) e si convince di non volerne sapere, finché resterà impigliato nella rete della bella schiacciatrice Eva (Giorgia Wurth), da cui, tra minacce e crisi isteriche, riuscirà a districarsi a fatica. La parte del fedifrago mentitore non gli si addice e, per tutto il tempo non sembra che un cucciolone frustrato intento a sbattere un bel paio di occhioni sul suo mondo dipinto d’azzurro. Su altri pianerottoli, Chiara (Paola Cortellesi) e Diego (un inedito Alessandro Preziosi) sono due nemici di vicinato. Lei una graziosa infermiera solitaria, dedita alla causa ambientalista, tutta sandali e cervello. Lui un playboy misogino, collezionista esterofilo di donne. Universi contrapposti e riconciliati nel nome dell’amore (ma fino a quando?). Marta (Chiara Francini) e Andrea (Nicolas Vaporidis) sono una coppia di amici che divide con uguale disinvoltura donna e casa all’insegna della confusione sessuale. Si scoprono infatti attratti dalla stessa ragazza, Francesca (Sarah Felberbaum), e si giocano “settimane di dominio assoluto”, rivaleggiando ad armi pari nella conquista della cameriera più soda e stinta della storia. Vince su tutti Ivan (Paolo Ruffini), il guastatore-amico, la punta di sarcasmo che inacidisce quanto basta momenti zuccherosi e prevedibili. Infine Nicoletta (Carla Signoris, finalmente un’attrice), madre coraggio di Andrea ed ex-bella donna in preda alla crisi di mezza età. Dopo il tradimento del marito (Francesco Pannofino, sarà tratta in salvo dall’amore del timido collega Renato (il bravo Giuseppe Cederna), uomo-talpa tenero e pieno di passioni interessanti.


Amore è una delle parole più pericolose dopo matrimonio. L’allerta è iniziata. La carica nutritissima degli Ex, riveduta e corretta, torna alla ribalta, si schiera dividendosi per genere e si dà battaglia alternando bastone e carota. Fausto Brizzi firma il suo quarto ambizioso progetto lavorando ad una commedia agrodolce, tirata sul piano della comicità (vanziniana). Come sempre una questione tra amici: scritto con gli inseparabili Martani e Bruno, al team classico si aggiunge il tocco rosa e acre di Pulsatilla, al secolo Valeria Di Napoli, blogger e rivelazione editoriale nella Ballata delle prugne secche. I punti di vista di uomini e donne divergono a partire da situazioni banali, a rimpolpare una serie di fiacchi e abusati luoghi comuni: astinenza sessuale da post-partum, giovani cubane rovina famiglie, sciupafemmine redento dalla ragazza acqua e sapone della porta accanto, triangolo lui-lei-l’altra rivisitato all’insegna del lesbismo tanto per dare quel tocco in più tra scompensi di cinquantenni che si tirano sù morale e tette dal chirurgo plastico. Uomini bricconi e superficiali e donne che hanno sempre bisogno di analizzare(si). Doppi sensi, tradimenti, bugie, separazioni, alleanze, colpi di scena, occasioni mancate, equivoci e tempismi (im)perfetti. Indugi, qualche pacca di troppo sulla donna-fondoschiena e si procede a suon di stacchetti. La tv dirige la realtà e inghiotte inesorabilmente pezzi di cinema. Le differenze su cui sorridere diventano assaggi troppo conditi di vita vissuta. Buona la Cortellesi e Nostra Signora (De) Signoris – è proprio il caso di dirlo – che conserva una grazia e una luminosità di rara delicatezza, così come il gruppetto di cammei e comprimari (che il regista promette di approfondire nel capitolo successivo), nelle interpretazioni di Bisio, Solfrizzi e Littizzetto, urologa chiamata a curare un’improbabile impotenza psicosomatica del latin lover Preziosi.


Brizzi, maestro di incassi e vittima della sindrome da cinepanettone, resta comunque un campione nel gestire la coralità, spostando e seguendo attentamente i personaggi sulla scacchiera dello script. Lo ritroviamo ad intrecciare fili, concatenando capitoli a ritmo sostenuto, e, complice una sceneggiatura frizzante ad alleggerire ancora di più il tono, dotando i singoli episodi di un’autonomia tuttavia inconsistente. La sua vena spesso corrosiva non è esente da flessioni e cadute di stile imbarazzanti. Luoghi comuni (in fondo trasudanti di verità) oltreché eccessi caricaturali di ogni sorta si moltiplicano e i pochi momenti di freschezza ben allestiti (la partita finale di pallavolo e l’incontro subacqueo felicemente affidato al fumetto) sono merce rara. La colonna sonora curata da Bruno Zambrini, compagno sin da Notte prima degli esami, contiene la traccia che ruba titolo e motivo al film. Affidata alla voce calda di Francesco Baccini, in un’apertura da videoclip, la melodia si tiene ancora in equilibrio sull’asse metaforico del gioco e ci canta con la giusta dose di malinconia, di donne e uomini (letteralmente) scesi in campo a combattersi, eternamente separati da una rete altissima ma piena di buchi. Brizzi è soprattutto un discreto narratore. E si fa apprezzare più per la sceneggiatura che per la regia (forte della gavetta alla corte di Neri Parenti), anche se è innegabile la sua capacità di coordinare con successo (soprattutto al botteghino) masse di attori di italica comicità. Un ensemble sgangherato e variopinto di personaggi fatto di riserve e titolari, di uomini che in fondo non cambieranno mai e di donne che rifiutano la panchina. Avviluppati negli interni e animati su fondali made in Ikea, in una Torino pressoché invisibile. Brizzi scrittore eccede nel materiale ed avverte l’esigenza di elaborare ulteriori sfoghi narrativi in cui annuncia nuove battaglie (il prossimo Femmine contro maschi).


La storia continua e si ripete. La malizia, il cinismo, il non detto su vizi e virtù: in due parole lo spessore della commedia all’italiana torna ad essere assente non giustificato. I personaggi, affastellati e stretti l’uno sull’altro si ammalano di bidimensionalità. Il cinema, insomma, è lontano e nonostante le fughe immaginarie al Polo Sud nel mare nostrum di Ancona, Brizzi sembra più voler calcare le tavole del palcoscenico teatrale, della reazione immediata, dell’effetto ridanciano, che arriva (e non sempre) nell’esatto momento in cui è stato previsto. E da quello che gli uomini (non) dicono ci attendiamo il rovescio della medaglia, ma senza troppa trepidazione.


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