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La scuola è finita

14/11/2010 11:00

Tania Marrazzo

Recensione Film,

La scuola è finita

«L’idea iniziale per il film mi è venuta una sera al Big Mama al concerto di uno strano gruppo, i Riding Sixties, che suonano impeccabili cover di canzoni rock

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«L’idea iniziale per il film mi è venuta una sera al Big Mama al concerto di uno strano gruppo, i Riding Sixties, che suonano impeccabili cover di canzoni rock anni ’60 e ’70. Ma non è il loro repertorio che li rende strani, quanto il fatto che la band è composta da due mie colleghi professori del “Rossellini” e dai loro studenti. Quella sera c’erano anche tanti miei allievi: allegri, entusiasti, così diversi dall’apatia che mostravano in classe». Valerio Jalongo racconta appassionatamente la genesi che ha portato alla realizzazione di La scuola è finita, il suo settimo film presentato in concorso al Festival internazionale del film di Roma e tiepidamente accolto.


La prima sequenza mostra il tentativo di suicidio di Alex Donadei (Fulvio Forti) che si lancia dal cornicione dell’istituto Pestalozzi sotto effetto di droga. Incredibilmente sopravvive alla caduta e poco dopo riprende la sua vita quotidiana. La scuola romana frequentata da Alex è fatiscente, degradata e versa in uno stato di semi-anarchia: gli alunni escono ed entrano quando vogliono, rompono, prendono a calci tutto ciò che possono e lo studio è un optional; gli insegnanti inveiscono con rassegnazione e cercano di tenere a bada questa massa dispersa che raramente li considera, l’unica cosa che desiderano è che le ore in quell’inferno passino il più presto possibile. Ad accomunare tutti è un’opprimente condizione di noia e di sfinimento, come se si facesse quasi fatica a vivere in un mondo in cui non si prova interesse per nulla, dove non si fa altro che trascinarsi stancamente avanti senza nessun obiettivo. Questo è il motivo per cui Alex si crea, e distribuisce all’occorrenza, la gioia artificialmente con le pasticche colorate. Le uniche persone che ancora si impegnano per recuperare questa generazione ormai perduta sono la professoressa Daria Quarenghi (Valeria Golino) e il professor Talarico (Vincenzo Amato), con tutti i rischi che l’impresa comporta anche per loro stessi.


Con un taglio semi-documentaristico che assume spesse volte le sembianze di una fiction televisiva, Jalongo elabora bene un messaggio che arriva però in maniera superficiale e privo di spessore, perdendo anche credibilità in alcuni episodi. La fotografia, cupa e dalle tonalità sbiadite, ben si addice al vuoto e alla piattezza esistenziale degli individui che popolano la scena, ma senza altri supporti essa finisce per diventare puro elemento stilistico. Così accade anche per le musiche, alle quali ha collaborato Francesco Sàrcina de Le Vibrazioni, che non si amalgamano al contesto emotivo/narrativo della vicenda sebbene sussista una concomitanza, che rimane tuttavia fine a se stessa. Ad eccezione della Golino, vista certamente in performance migliori, la recitazione è generalmente mediocre e la sceneggiatura non brilla per originalità, facendo sì che il tutto si livelli con un conseguente scarso coinvolgimento. Nel rappresentare questa umanità allo sbando, fortunatamente senza intenti pedagogici, in cui alunni e professori si perdono e si annullano nello stesso inerte male di vivere, La scuola è finita non decolla né crolla in maniera definitiva, palesando la fragilità di una struttura costituita da elementi di vario livello che non combaciano perfettamente fra loro.


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