Se siete arrivati sin qui ora siete ufficialmente dipendenti: macinate episodi di Breaking Bad come tossici assuefatti dalla blue sky di Heisenberg. La terza stagione rappresenta il giro di boa della serie e ne è, probabilmente, anche l’apice più alto che getta lo standard da mantenere in seguito. Il momento in cui gli eventi iniziano ad accelerare in un turbine sempre più veloce, un gorgo che trascina i personaggi (tutti, nessuno escluso!) sempre più a fondo, generando situazioni impreviste, che esulano dal maniacale controllo di Walter.
L’auto che stiamo guidando ha la terza marcia inserita e sebbene la velocità non sia ancora estrema, sotto di noi iniziamo a percepire che la strada non è così immacolata come appariva da lontano, ma è dissestata, piena di buche e avvallamenti che iniziano a farci sobbalzare sul sedile. Una parte di noi spera che più avanti l’asfalto ritorni liscio, ma la lato razionale del nostro cervello sa benissimo che da qui in poi andrà sempre peggio.
Raccogliere i cocci
La seconda stagione si chiudeva con un impressionante incidente aereo nei cieli di Albuquerque, proprio sopra il quartiere residenziale dove vive la famiglia White. Rottami e, soprattutto, vittime si spargono dappertutto, in un parallelismo con i nostri anti-eroi, Walt e Jesse, che sul finale della stagione devono fare i conti con le loro vite in frantumi. Walter inizia a pagare lo scotto delle proprie azioni: dopo aver accidentalmente confessato sotto anestetico di possedere due cellulari, Skyler lo butta fuori di casa, allontanandolo da quella famiglia per cui, sin dal primo episodio, lui professa di star facendo tutto questo. Jesse, devastato dalla morte di Jane, sprofonda in un baratro di dipendenza da eroina (la scena in cui Walt va a recuperalo nella casa dei tossici è una delle più crude della serie), prima di iniziare un lungo percorso di disintossicazione.
Da queste premesse parte la terza stagione, facendo rialzare i suoi protagonisti dalla polvere, con ancor più ambizione e smania di potere. A gonfiare il loro ego vi è Gus Fring, personaggio imprescindibile, tra i migliori cattivi mai apparsi sullo schermo, magistralmente interpretato da Giancarlo Esposito, attore nato in Danimarca, figlio di un carpentiere napoletano e una cantante afro-americana, che ha ottenuto il successo comparendo in svariati film di Spike Lee. Freddo, rapace, calcolatore: a tratti è uno specchio di Walter White, ma svuotato da qualsiasi morale e sentimento. I dialoghi tra lui e Walt vibrano di una tensione palpabile, intrise di un senso di pericolo sempre in agguanto; tra i due c’è rispetto, ma anche diffidenza, come se fossero due animali feroci costretti a collaborare, ma che prima o poi si azzanneranno inevitabilmente alla gola. Questa consapevolezza fa assomigliare le loro scene a una partita a scacchi, in cui ognuno non fa altro che studiare l’avversario per poterne cogliere un minimo cedimento. A dir poco sublime in questo senso il dialogo tra i due nella 3x09 Kafkaesque, quando Walt capisce che il deus ex machina dietro la sparatoria del parcheggio è proprio Gus. Una scena che si affina, rasentando la perfezione, nella cena a casa di Fring, in chiusura dell'11esimo episodio.
L'apice: Fly
Ovvero la puntata più controversa dell’intera serie. A una prima occhiata immobile, sembra quasi inutile. Un “episodio bottiglia” riempitivo, fatto per contenere i costi della stagione, con solamente Jesse e Walter in scena per 45 minuti, chiusi nel laboratorio sotto la lavanderia, alle prese con una mosca che non riescono a uccidere. Questo, almeno, a una lettura superficiale. A una più approfondita risulta essere un apice irraggiungibile.
Breaking Bad è composto da 62 episodi. Il 60esimo è quel capolavoro della 5x14 Ozymandias che molti ritengono essere il vero finale di Breaking Bad, il punto di non ritorno definitivo. I due episodi successivi, Granite State e FeLiNa, possono essere considerati un epilogo, un’appendice che cerca un “happy ending” in una storia che di felice non ha nulla. Fly, essendo l’episodio numero 30, è esattamente a metà della storia e serve a chiudere una serie di archi narrativi lasciati in sospeso che, però, necessitano di trovare una conclusione prima di poter andare avanti. Un episodio spartiacque come Better call Saul nella stagione precedente (curiosità: quello era il 15esimo, piazzato proprio a metà tra l’inizio e Fly... coincidenza?) con la differenza che lì la sceneggiatura introduceva nuovi personaggi e scenari, mentre qui lavora per sottrazione, concentrandosi solo su Walt e Jesse.
La mosca è una tripla metafora: da un lato rappresenta la pignoleria maniacale di Walter, che si rifiuta di cucinare finché l’insetto non sarà morto. Dall’altro è il simbolo della metamorfosi kafkiana (un termine che, non a caso, da il titolo alla puntata precedente) che lentamente sta trasformando Walter in Heisenberg. Da questo punto di vista Fly chiude un primo arco narrativo di 30 puntate in cui Walter ha sempre cercato di bilanciare questi due aspetti della propria personalità, arrabattando scuse e bugie per salvare le apparenze. Da questo episodio in poi, invece, getta definitivamente la maschera (tant’è vero che Skyler cercherà di aiutarlo nei suoi piani criminali, coprendolo anche con Hank e Marie), abbandonando ogni freno inibitorio. In altre parole Fly rappresenta l’inizio della fine.
Infine la mosca è l’incarnazione dei sensi di colpa che affliggono Walter e si fanno sempre più schiaccianti. Perché finché erano degli estranei a pagare il prezzo delle sue azioni, finché erano Krazy-8 o Combo a rimetterci la pelle, allora si poteva parlare di “sacrifici necessari”, mentre la famiglia White restava unita attorno a un tavolo a fare colazione con pancake e succo di mela. Ma quando Jesse rischia un overdose perché lui ha lasciato morire la sola persona che amava, quando scopre di essere la causa di un disatro aereo e quando in mezzo a una sparatoria ci finisce suo cognato Hank, allora dentro Walter questi sensi di colpa iniziano a crescere fin quasi a schiacciarlo, materializzandosi in quella maledetta mosca. Non è un caso che l’insetto venga ucciso solo dopo che Walt confessa (quasi tutti) i suoi peccati a Jesse, implorando il suo perdono, aggrappandosi a quel lato umano che lentamente sta svanendo in lui. Un lato umano che, a sua volta, trova personificazione proprio in Jesse, al quale Walt salverà la vita per ben due volte: la prima una manciata di puntate dopo, nella 3x12 Half Measures, e poi ancora nell’epilogo della serie.
Crapa pelada la fà i turtei
Ammettiamolo, chi non ha riso la prima volta che ha sentito questo ritornello in dialetto milanese cantato del Quartetto Cetra in un episodio di Breaking Bad? Una scelta quantomai inusuale per una colonna sonora. Eppure, come molte cose nella serie, non è messa lì a caso: infatti, sebbene sia stata scritta nel 1936, riesce a essere una metafora perfetta di ciò che sta avvenendo nella serie in quel preciso momento della storia. Crapa pelada (“testa pelata”, ovvero Heisenberg) la fà i turtei (“ha fatto i tortelli”, ovvero ha cucinato... non tortelli, ma metanfetamina!), ghe nè dà minga ai soi fradei (“non ne dà nessuno ai suoi fratelli”, dimostrandosi egoista e ingordo, esattamente come Walter che è affamato di potere e soldi). I so fradei fan la frittada, ghe ne dà minga a Crapa pelada (“i suoi fratelli han fatto la frittata e non ne danno nemmeno un pezzo a Testa pelata”, ovvero l’ingordigia di Walt che gli si ritorce contro come un boomerang).
“Crapa pelada” è cantata dall’ignaro Gale alla fine dell’ultimo episodio della stagione, mentre attorno a lui si sta disputando una vera e propria corsa alla sopravvivenza che ha in palio la sua stessa vita. Alla luce di questo contesto la canzonetta assume un nuovo e più inquietante significato (l’egoismo di Testa pelata è talmente smisurato da schiacciare Gale) oltre al fatto che l’effetto boomerang (i fratelli che non vogliono dare la frittata a Testa pelata) sarà uno dei fulcri narrativi della quarta stagione, quando le intenzioni di Gus di uccidere Walter e Jesse si faranno più palesi.