Nella stagione 4 di Breaking Bad si vola lungo il rettilineo: piede incollato all’acceleratore, il contagiri che aumenta sempre più. La strada si fa sempre più dissestata, al punto da sentire gli ammortizzatori cigolare a ogni buca e sobbalzare sul sedile con urti sempre più violenti. Il solo modo per illudersi di avere ancora il controllo della situazione, per gestire l’auto è concentrarsi sulla strada, affondare ancor di più l’acceleratore e stringere il volante tra le mani per non rischiare di andare fuori strada.
I am the one who knocks
Con la quarta stagione, la parabola di Heisenberg inizia a discendere. Dopo aver toccato l’apice della sua carriera criminale grazie all’accordo da 15 milioni di dollari annui stipulato con Gus Fring, le cose prendono una brutta piega. Lo si capisce già dal finale della stagione precedente, durante la corsa contro il tempo per eliminare Gale prima che Fring e i suoi scagnozzi uccidano Walter e Jesse. Nonostante tutto, però, Walter continua a vincere. E nonostante le cose inizino a mettersi male, lui seguita a giocare, incurante del pericolo. Il suo è un vero delirio di onnipotenza, che gli sta facendo sempre più perdere il contatto con la realtà.
Come se la favola del giocatore d’azzardo che ha propinato ad amici e familiari si fosse d’un tratto avverata: esattamente come un giocatore incallito di black jack, anche Walter è intrappolato in un gorgo dal quale non può/non vuole uscire finché le carte ruotano a suo favore. Ha vinto la partita contro Fring, ma anche quella contro Skyler (i due alla fine si sono riappacificati), contro Bogdan (è riuscito a comprare il suo autolavaggio) e contro Saul Goodman (il quale sosteneva che acquistarlo fosse una pessima idea).
«To WW my star, my perfect silence» recita Hank in uno degli apici massimi di questa stagione. Un dialogo cupissimo, scuro come la stanza in cui si svolge. Quasi premonitore di ciò che inevitabilmente prima o poi accadrà.
«Chi è questo tizio? Woodrow Wilson? Willy Wonka?» - pausa lunghissima - «Walter White?» Una morsa contrae lo stomaco dello spettatore che conosce la verità. La sappiamo noi, la sa Walter e magari la sa anche Hank, o meglio: inizia ad avere dei sospetti. Quelli però da soli non bastano a incriminare il cognato: servono delle prove, ed è questo che rende Walter così sicuro di sé. Talmente sicuro da sfidare le autorità (la DEA in questo caso) suggerendo ad Hank la possibilità che Gale Boetticher non fosse Heisenberg, ma solo un aiutante di laboratorio (cosa che di fatto era). Quella scena a cena, sotto lo sguardo perplesso di Skyler, circondato dal figlio e dalla cognata ignari della verità, altro non è che una sfida, simile a quelle lanciate da famosi serial killer come Zodiac o Sakakibar alla polizia. Eppure, nonostante tutto, noi seguitiamo a fare il tifo per Walt.
Yo, bitch!
All’inizio della serie Jesse Pinkman era solamente un teppistello da strada, vestito con felpe e pantaloni di almeno 4 taglie più grandi, dai colori appariscenti e cappello sempre in testa. Poi è incappato in Walt e nel turbinio di eventi che ne sono seguiti: le morti, gli omicidi, la perdita di Jane, la dipendenza da eroina e la relativa disintossicazione. Ma anche Andrea e Brock, la brama di vendetta, il tornare a farsi di meth... tutto ciò l’ha profondamente segnato. Ma se Walt ha sempre cercato di mantenersi attaccato alla realtà, anche grazie alle bugie che propinava alla sua famiglia per salvare le apparenze, Jesse è sempre stato quello alla deriva proprio perché non aveva niente e nessuno a cui aggrapparsi.
Adesso non porta più il cappello, ma ha la testa rasata e si veste di nero, con abiti poco appariscenti, nascondendosi alla luce del sole, facendo del proprio disagio interno il suo migliore amico e circondandosi dei reietti più infimi che la società (e la droga che lui cucina) produce. La spinta propulsiva dietro tutti questi (drastici) cambiamenti è sempre e solo Walter. Il rapporto tra i due è conflittuale, impari, in qualche modo autodistruttivo, molto spesso manipolatorio (senza spoiler: bacche di mughetto!) eppure entrambi sono consci del fatto che il solo modo per restare a galla e sopravvivere nella vasca degli squali in cui sono piombati, è quello di aiutarsi a vicenda.
Il rapporto tra Walt e Jesse non è più quello di studente/insegnante come nelle prime stagioni, né tantomeno una strampalata amicizia alla Marty McFly/Doc Emmet Brown come a tratti emerge, bensì si è evoluto in quello di padre/figlio. Pensate alla scena in cui Walter sussurra «Grazie Jesse» rivolgendosi a suo figlio Walter jr. Di fatto, a una manciata di puntate dalla fine della serie, Walt e Jesse sono consapevoli che le uniche persone su cui possono realmente contare e fidarsi sono loro due.
Verso un inevitabile finale
La quarta stagione di Breaking Bad ci conduce inevitabilmente verso il finale. Sebbene restino ancora 16 episodi, alcuni archi narattivi trovano già la propria, appagante conclusione. L’ennesimo segno che la scrittura di Vince Gilligan non lascia nulla al caso, anzi. Nel corso della stagione metteremo la parola fine alla vicenda dell’acquisto dell’autolavaggio, chiudendo la parentesi (aperta nella primissimi episodi dello show) del personaggio di Bogdan Wolynetz, apparentemente secondario, ma che si è rivelato fondamentale per una narrazione più ampia. Viene messa la lapide anche su Ted Beneke e tutti i fili narrativi a lui connessi: il lavoro da contabile di Skyler (che si è rivelato basilare per gestire le entrate in nero di Walter), il suo tradimento e soprattutto il debito nei confronti del fisco. Di fatto Beneke è un idiota, lo è sempre stato, e nella 4x11 Crawl Space è impossibile non notare l’ironia con cui Gilligan lo fa uscire di scena regalandoci un incidente (da idiota appunto) degno del Darwin Awards.
La sceneggiatura chiude anche altre due grosse trame aperte in tempi differenti, ma che si sono connesse al punto da trovare la conclusione nella stessa scena. La prima è “la partita a scacchi” con Gustavo Fring, un gioco al rialzo sin dal finale della terza stagione (che si conclude in realtà all’inizio della quarta con il brutale omicidio di Victor), che decreta la vittoria schiacciante di Heisenberg grazie alla spettacolare morte dell’uomo del pollo. La seconda è il filone dei Salamanca e l’effetto domino che ha innescato. Questa storyline inizia nella prima stagione con quello squilibrato di Tuco, poi viene introdotto lo zio paraplegico Teo (apparentemente un personaggio superfluo) nella seconda, infine nella terza le cose degenerano con l’attentato ad Hank da parte dei due “cugini silenziosi”. In quest’ultima stagione la scrittura torna a concentrarsi su Teo, scavando nel suo passato, mostradoci l’antefatto di Breaking Bad in Messico. Una sorta di Big Bang che ha dato origine a Los Pollos Hermanos, alla sete di potere di Gus, alla guerra contro il cartello; una catena di eventi in cui Walter è solo una comparsa. Il dialogo tra Teo e Gus altro non è che l’epilogo scritto da Heisenberg a una storia che non gli appartiene.
In ultima battuta c’è un’altra storyline apparentemente inutile che si chiude nella quarta stagione, sfociando in qualcosa di molto più grosso. La cleptomania di Marie, quella sottotrama accennata nella prima serie e poi lasciata appesa, al punto che lo spettatore forse se l’era pure dimenticata. Invece ecco che Gillegan la ripesca nel momento più opportuno e Marie, incriminata per aver rubato degli oggetti dal alcune case in vendita, diventa il gancio perfetto per riportare Hank in azione. Grazie a lei infatti il detective Roberts porta ad Hank il fascicolo di Gale Boetticher e soprattutto i suoi “appunti di laboratorio”, che riaccenderanno in lui l’interesse per Heisenberg e la metanfetamiana blu. Di fatto è grazie a Marie che viene innescata la catena di eventi che porteranno alla 5x14 Ozymandias.
Ma se la cleptomania di Marie non fosse stata introdotta 3 stagioni fa, a questo punto risulterebbe forzata e pretenziosa; invece Gilligan riesce a far combaciare ogni punto, ogni dettaglio ogni sottotrama, anche le più inutili, regalandoci un affresco sempre più complesso e affascinante.
E mano a mano che le parentesi si chiudono, le trame diminuiscono e i personaggi rimbalzano come palline impazzite, aumentando di velocità più il cerchio si stringe attorno a loro. Il quadro generale sta prendendo forma. Mancano solo una manciata di puntate, perciò non ci resta altro da fare che ingranare la quinta marcia e schiacciare ancor di più il piede sull’acceleratore: ormai fermarsi è impossibile, si può solo arrivare alla fine del rettilineo o morire nel tentativo di farlo.