Nel 2018 Stefano P. Testa compra in un mercatino dell'usato di Bergamo una scatola contenente pellicole e videocassette: scene di vita quotidiana, riprese tra il 1963 e il 2012 da un tale di nome Hans Liebschner. Testa decide di mettersi sulle sue tracce, prendendo così le mosse da un caso fortuito pressochè identico a quello del film Alla ricerca di Vivian Maier, che fece conoscere al mondo la incredibile storia della fotografa fantasma.
All'interno di questa scatola non si trova forse una miniera altrettanto d'oro, giacchè si tratta di filmati che non sembra possano andare oltre il documento personale: dietro le riprese di Hans non c'è un particolare disegno, né una chiara pretesa artistica.
Eppure quel materiale, scomparso chissà come e poi riapparso tra i banchi di un mercatino, «ha vissuto ed è sopravvissuto, e questo è curioso e fa pensare», come si dirà alla fine del film.
Eccolo Il secondo principio di Hans Liebschner, la sua seconda vita, il suo film. Storia di un regista che non c'era, che prende vita sotto gli occhi dei due figli rimasti, Claudio e Peter, le due voci presenti. Sono infatti i figli che si alternano a commentare, ricordare, rivivere la loro storia familiare, che li ha portati a non parlarsi più dopo la morte dei genitori: il tedesco Hans, finito in un campo militare a Genova, e Iole, l'infermiera volontaria che diventerà sua moglie.
Vita di un uomo non illustre, raccontata attraverso le prime riprese amatoriali eseguite nella casa di Bergamo, durante le vacanze estive ad Albarella oppure in occasione di festeggiamenti per un compleanno, una nascita, un matrimonio. Un enorme materiale d'archivio, che il film prova a tenere insieme lungo un immaginario filo nostalgico che percorre cinquant’anni di riprese. È proprio il tempo il protagonista nascosto di questo documentario, il nemico invisibile contro il quale Hans ha combattuto.
Il secondo principio di Hans Liebschner, con quel titolo che suona come una legge fisica, recupera uno dei tanti esempi di cinema privato e lo trasforma in un soggetto cinematografico; Stefano P. Testa ne ricava un documentario sentimentale ma al tempo stesso preciso e concreto, che insiste sul senso del tempo e sulla volubilità dei ricordi.
Mantiene un taglio documentaristico tutta la pellicola, dalle interviste ai figli in stile investigativo, ai capitoli scanditi dai diversi supporti che si sono succeduti nel tempo (dai primi superotto al digitale). Ma a prevalere è la sua poesia malinconica: quella proprio da mercatino dell'usato, pieno di nostalgiche cartoline e photo trouvée, o quella di un vecchio film, l'uomo con la macchina da presa ossessionato dal documentare tutto: «Questo è un esperimento, provo a filmarmi mentre parlo».
Paese, Anno: Italia, 2020
Regia: Stefano P. Testa
Sceneggiatura: Stefano P. Testa
Fotografia: Andrea Zanoli
Montaggio: Stefano P. Testa
Colonna sonora: Sonars, The Honolulu, Luca Severino
Produzione: Lab 80 Film
Durata: 88’