A rompere il silenzio della sala, avvolta dal buio, è il travolgente rumore dell'acqua in movimento che sembra scorrere tra le poltrone. Un’oscillazione sonora che in pochi secondi si trasforma in un percorso, quello dell’acqua che riempie i polmoni di qualcuno, lentamente. È così che si apre agli spettatori Creature di Dio (God’s Creatures), il dramma sociale creato da Fodhala Cronin O’Reilly e Shane Crowley: figure emergenti della produzione cinematografica irlandese, raccontano la realtà celata della violenza sulle donne, quella di cui non si parla e che conosce solo chi l’ha vissuta. La coercizione psicologica della società.
Il film ci catapulta in un piccolo paese della costa Irlandese, all'interno di una fabbrica di smistamento e pulizia del pescato locale (sgombri e ostriche).
A supervisionarla è Aileen (Emily Watson) ed è attraverso i suoi occhi di mamma che osserviamo il polo attorno cui gira la comunità femminile, dove le aspirazioni delle sue componenti sembrano essere state stroncate dal luogo e dal ruolo che esse devono ricoprire in questa realtà troppo lontana dal resto del mondo.
Il ritmo cadenzato delle percussioni accompagnano il lavoro delle operaie, fino alla sirena di un’ambulanza che le raduna tutte in riva al mare. Poi un urlo di donna, di una madre, preannuncia l'ennesimo delitto del mare: Mark, un giovane pescatore è annegato. Al brunch funerario, dove si raduna tutto il paese, la figlia di Aileen annuncia alla famiglia l’irremovibile decisione di voler insegnare il prima possibile al figlio neonato a nuotare. Si, perché in questa piccola realtà irlandese, in cui l’unica forma di sostentamento è la pesca, vige un’inconsueta usanza: non imparare a nuotare. Nel frastuono di tale scelta, tra la folla Aileen scorge Brian (Paul Mescal), il figlio partito per l’Australia e costretto a tornare a casa, dei cui misfatti la donna diventerà complice e alibi.
Creature di Dio è una storia costruita sull’intreccio di relazioni umane che delineano una fitta trama di comportamenti recidivi di cui ogni abitante, in fin dei conti, è (in)consapevolmente impregnato.
Il tema della violenza non ha un impatto emotivo forte sullo spettatore, ma è il naturale e pacato svolgersi degli eventi a dare forza e autenticità al film. Sullo schermo viene affrontata e analizzata la violenza in quest’ottica e attraverso lo sguardo di una donna. Infatti, il soggetto è stato scritto da Fodhala Cronin O’Reilly quando aveva 19 anni; in seguito lo ha rimaneggiato diverse volte prima che questo prendesse forma nella sceneggiatura scritta grazie al sostegno dell'amico Shane Crowley. Ma l'elemento che ha dato vita alla storia è stata la collaborazione con le due registe Anna Rose Holmer e Saela Davis, a rafforzare la presenza femminile in questo progetto.
La violenza fisica o psicologica subita dalle donne assume stavolta un ruolo secondario rispetto alla conseguente reazione di violenza ed esclusione che la società infligge a causa del pensiero (purtroppo) ancora retrogrado. Anche il tema della “tradizione” viene messo in scena attraverso una prospettiva femminile, che va oltre l'aspetto folkloristico e culturale. In questo contesto la comunità maschile è rappresentata ancorata a una mentalità che si fa scherno dell’abuso subito da una ragazza - perché abitudine del luogo - mentre le donne, come le ostriche sono in balìa della marea: rese inermi, si ammalano e vengono infestate dalla violenza che si propaga.
Fodhala Cronin O’Reilly, Shane Crowley e le registe Anna Rose Holmer e Saela Davis hanno creato un prodotto simbiotico per raccontare il vissuto di una “nazione sociale maschile” che, nonostante la lotta per la parità di genere, rimane fissa al fondale come un'ancora.
La trama è lineare non permette fraintendimenti nè dubbi: Creature di Dio è una storia di Violenza, incentrata sul circolo vizioso di cui la donna è vittima nel momento in cui decide di non esserlo. Il suo sviluppo, a tratti scevro della componente emotiva, non induce lo spettatore a empatizzare con le sofferenze affrontate dai personaggi: anzi, il suo andamento eccessivamente prolisso in alcune scene ne affievolisce il trasporto; eppure anche la lentezza ha una specifica funzione narrativa, quella di rispecchiare lo scorrere dilatato del tempo che caratterizza la vita di paese in cui è la natura a scandire l’esistenza.
Come in natura i rumori e suoni sono un’indice di orientamento, in questo film il sonoro e, in particolar modo, la colonna sonora hanno una rilevanza notevole: ricoprono una funzione anticipatoria. L’organico scelto dai compositori Danny Bensi e Saunder Jurnaans, composto da strumenti a percussione archi e fiati (presenti solo in una scena), ha la funzione di collocare con un timbro distintivo il luogo geografico in cui si svolge il film e di rimarcare l’identità nazionale del film: quella irlandese. La struttura dei brani e l’approccio all’immagine ha sicuramente subito l’influenza della colonna sonora di Hildur Guðnadóttir per Joker (vincitrice dell'Oscar) dove la musica dissonante trascina lo spettatore nel vortice emotivo del protagonista.
Nella stessa maniera in God’s Creature, il battere in levare percussivo dalla prima scena nella fabbrica conferisce alla colonna sonora il ruolo di voce narrante: il compito è preannunciare con immagini sonore la tempesta che si scatena (solo) nell’intimità dei personaggi femminili, mentre aleggia fievole sul resto di una società legata visceralmente alle tradizioni tanto da essere agente condizionante della loro esistenze.
Gli archi inseriti nelle scene scorrono e modellano i tormenti della comunità, si mescolano con il mare e risuonano tra le sue increspature rievocando il canto delle balene. I suoni di scena - come lo smistamento delle ostriche e il loro sbattere l’uno contro l’altra, mentre vengono estratte dalle reti - ricordano il suono vuoto e secco dei bones (ossa animali usate come strumenti tradizionali a percussione in Irlanda).
God’s Creatures è un'opera spinta dall’incessante ricerca di identità di cui è causa la storia travagliata e la divisione politica dell'Irlanda, paese dove raccontarsi e raccontare la propria realtà è un bisogno primario.
Anche la scelta della lingua, quella gaelica, è un rafforzativo dell’identità storica, della trama e delle sue creatrici. La lingua gaelica è usata in modo (quasi) invalidante nella prima parte del film, ma nella seconda parte - il momento in cui Aileen assume una posizione contrastante rispetto ai suoi compaesani, e fortemente di disapprovazione nei confronti del figlio - perde invece la sua supremazia e lascia spazio all’inglese che conferisce unità e soprattutto maggior comprensione. La lingua ha abituato lo spettatore, gradualmente, alla realtà che sembrava essere solo di quel paesino sperduto in Irlanda e che, invece, riguarda tutti noi. Quando il vento soffiando fa cadere il velo dagli occhi di Aileen, il legame più forte che esista, quello tra madre e figlio, si spezza come si spezzano le convinzioni a cui ogni individuo è legato per costruire la propria identità.
God’s creatures è inserito nella categoria thriller ma è un dramma sociale, attuale e vero, quasi un documentario per il realismo con cui si evolvono e vengono vissuti gli eventi. Fodhala Cronin O’Reilly ha investito gli ultimi diciotto anni nel perfezionamento del soggetto perché da questo doveva nascere non solo un lungometraggio, ma un incitamento al cambiamento sociale.
Genere: drammatico
Paese, anno: Irlanda/Gran Bretagna, 2022
Regia: Saela Davis, Anna Rose Holmer
Sceneggiatura: Fodhala Cronin O’Reilly, Shane Crowley
Interpreti: Emily Watson, Paul Mescal, Aisling Franciosi, Declan Conlon, Marion O'Dwyer, Toni O'Rourke, Brendan McCormack, Isabelle Connolly
Fotografia: Chayse Irvin
Montaggio: Jeanne Applegate, Julia Bloch
Musiche: Danny Bensi, Saunder Jurriaans
Produzione: Nine Daughters, A24, BBC Film, Fís Éireann / Screen Ireland, WRAP Fund
Distribuzione: Academy Two
Durata: 100'
Data di uscita: 4 maggio 2023