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Blue Moon (2025), la recensione del film di Richard Linklater con Ethan Hawke e Margaret Qualley

30/03/2025 19:00

Claudio Cinus

Recensione Film, Festival, Berlinale, Film Drammatico, Film USA, Film Irlanda, Margaret Qualley, Ethan Hawke, Bobby Cannavale, Andrew Scott, Richard Linklater,

Blue Moon (2025), la recensione del film di Richard Linklater con Ethan Hawke e Margaret Qualley

Un film dal sapore teatrale, dominato dalla figura di Hart: un eccezionale Ethan Hawke.

È una delle canzoni più famose del Novecento: Blue Moon, musica di Richard Rodgers, parole di Lorenz Hart. Una coppia che produsse centinaia di canzoni per molti anni, finché Rodgers decise di affidarsi ai testi di Oscar Hammerstein II per il musical Oklahoma!: da allora, è Rodgers & Hammerstein a essere ricordata come la coppia di autori di canzoni statunitense più famosa. 

 

Hart morì qualche mese dopo la prima di Oklahoma! nel 1943; ed è proprio la sera di quella prima che Richard Linklater ha ambientato Blue Moon, in concorso alla 75ª Berlinale

Blue Moon, la trama del film con Ethan Hawke 

Un film dal sapore teatrale, dominato dalla figura di Hart (Ethan Hawke) un po’ invidioso e molto intristito, ma anche sicuro del suo superiore talento. 

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Hart trascorre alcune ore in un locale, chiacchierando col suo amico barista (Bobby Cannavale), confrontandosi con Rodgers (Andrew Scott) che proprio lì sta celebrando il successo della rappresentazione del suo musical terminata poco prima.

Ecco allora che incontra Elizabeth Weiland (Margaret Qualley), la ragazza più giovane di lui di un quarto di secolo della quale dice di essere infatuato.

Il tour de force di Hawke, presente in ogni scena di un film che mantiene sempre l’unità di spazio e tempo (tranne che nella brevissima introduzione) è sostenuto da una sceneggiatura scritta da Robert Kaplow a partire dagli scambi epistolari tra Hart e la giovane donna su cui è basato il personaggio di Elizabeth. 

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Un film sulle parole

Per un uomo ossessionato dalla bellezza delle parole - sono tante le citazioni che gli escono dalla bocca, come se avesse accantonato nella memoria una serie di frasi preferite altrui da tirare fuori in ogni occasione - sembra che la verbosità sia necessaria come respirare. Parole che non devono essere fini a sé stesse, altrimenti si rischia di cadere nelle banalità che piacciono al pubblico, del tipo che Hart ritiene di  rinvenire nei testi del “rivale” Hammerstein: le sue parole invece servono a creare connessioni, affascinare le menti, occupare il tempo altrui in modo sofisticato. 

 

Ma il potere della parola, che Hart ritiene di saper padroneggiare, non è sufficiente a garantire la durevolezza dell’amore.

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La serata di Hart è caratterizzata da una doppia delusione amorosa; non un doppio rifiuto - perché tutti si comportano in modo troppo cortese e sensibile per un atto brutale come appunto il rifiuto - quanto la consapevolezza del non poter essere centrali nelle vite altrui come si vorrebbe. La frustrazione lavorativa la sperimenta con Rodgers, ormai stanco dei problemi di alcolismo del collega (che in tutta la serata cerca di evitare l’onta del bicchiere vuoto); le musiche del compositore si sentono poco, accennate ogni tanto da un soldato seduto davanti al pianoforte, e il talento che più mette in luce è quello per gli affari, dimostrando di capire ciò che il pubblico vuole. Nella loro antitesi umana, Hart e Rodgers vengono rappresentati come simboli dell’arte che non vorrebbe compromessi e dell’arte che cerca di stare dalla parte del pubblico; la loro opera è stata la sintesi di queste due aspirazioni.

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La storia d'amore tra Hart e Elizabeth

Più canonico, in apparenza, è l’innamoramento dalle caratteristiche adolescenziali di Hart per Elizabeth, la sua giovane protetta. È difficile classificare, questo sogno di un classico amore romantico, dal momento che Hart notoriamente ha sempre avuto rapporti con altri uomini; anche per questo la ragazza non lo considera un possibile spasimante, ma un amico e un mentore. Qualley, con leggerezza ed eleganza, delinea però tutti i pregi della giovinezza, con le sue prime scoperte e le sue infinite possibilità, davanti a qualcuno che sente quanto sia ormai lontana quella fase della propria vita. Il disinganno inevitabile, che pure Hart cerca in ogni modo di prevenire, aggiunge un’ulteriore nota malinconica alla serata che già segna la fine quasi definitiva del suo sodalizio artistico con Rodgers.

Linklater torna a raccontare le persone e il tempo

Già sappiamo che Hart morirà circa sette mesi dopo, come anticipato nella prima scena che ne annuncia la morte. Pensando a quel futuro già scritto, il locale in cui è ambientato il film assume l’aspetto di un’anticamera della morte: un ultimo momento di lucidità in cui ripensare alla propria vita, in un giorno cruciale di dolore e rimpianti. Le azioni, i rapporti personali, le ubriacature, i dialoghi raffinati, sono destinati a essere dimenticati, se non per essere ricreati un secolo dopo in un film. Le opere d’arte, invece, possono ambire a essere immortali. Se il limbo è quella lunga serata immaginata da Linklater, e l’inferno è la solitudine di Hart che vede allontanarsi le persone alle quali più vorrebbe stare vicino, allora il paradiso è l’immortalità della propria opera: spiegare ancora una volta, davanti al bancone del bar, come era nata Blue Moon, per confermare il proprio posto nella storia della musica.


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Genere: drammatico

Titolo originale: Blue Moon

Paese, anno: Irlanda/USA, 2025

Regia: Richard Linklater

Sceneggiatura: Robert Kaplow

Fotografia: Shane F. Kelly

Montaggio: Sandra Adair

Interpreti: Aisling O'Mara, Andrew Scott, Bobby Cannavale, Cillian Sullivan, Ethan Hawke, John Doran, Jonah Lees, Margaret Qualley, Patrick Kennedy, Simon Delaney

Colonna sonora: Graham Reynolds

Produzione: Cinetic Media, Detour Filmproduction

Durata: 100'


 

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