Arrischiando di dare al film più importanza di quella effettiva, si può considerare Accadde al penitenziario come opera sintomatica dei tempi che correvano: affrancata completamente dal neorealismo (ma questa era caratteristica del cinema di Bianchi anche dieci anni prima, ai tempi di Fatalità), se è vero che il penitenziario del titolo non fa che da cornice al racconto, con ben altre urgenze (di incasso?) rispetto a pochi anni prima. Considerabile a tutti gli effetti come commedia di attori, è ad essi che deve tutti i suoi (pochi, in verità) pregi: dalla bravura di gente come Fabrizi, Sordi, De Filippo, Chiari, che interpretano i soliti personaggi risaputi, ma che lo fanno con una classe e una presenza scenica (ciò che si definisce come “riempire lo schermo”) difficile da immaginare, specie nel nostro paese, ai giorni nostri. La sceneggiatura, già sfilacciata e piattissima di suo, fatica perfino a farne apparire due in scena allo stesso tempo, sprecando un potenziale comico-attoriale che riusciamo solo a intuire, e facendo notare allo spettatore come il racconto manchi di un qualsiasi tipo di progressione. Peccato.