Il vento nuovo della politica americana che si è affacciato ultimamente alle primarie democratiche lascia il suo lieve ma tangibile segno anche nelle produzioni hollywoodiane legate ai classici blockbuster stagionali. A riflettere sulla controversa questione dello sviluppo e della vendita delle armi è un film legato a uno dei più famosi supereroi Marvel: Iron Man; prima pellicola interamente prodotta dalla casa delle idee e Stan Lee. Il protagonista, Tony Stark - magnate della finanza, playboy laureato con lode al MIT - è Robert Downey Jr.; semplicemente meraviglioso, l'attore statunitense dà prova di grande professionalità disegnando un personaggio assolutamente credibile e fedele alla sua controparte cartacea. Ad affiancarlo in questo chiassoso action movie ritroviamo una Gwyneth Paltrow meno convincente del solito ma sempre a suo agio sul set e un abilissimo Jeff Bridges nell'incarnare splendidamente la faccia più estrema e spietata del “machismo” americano. Dietro la macchina da presa si accorda il camaleontico Jon Favreau, che si alterna professionalmente tra recitazione, regia e produzione.
Iron Man vince ma non convince. Dall’impianto narrativo piuttosto semplice, non intende prendersi troppo sul serio nel giudicare questioni politiche che vanno ben oltre l'incipit narrativo, pur regalando qualche chicca agli amanti del fumetto: dall’intelligenza artificiale che aiuta Stark nella costruzione dei suoi gingilli chiamata Jarvis alla presenza di un agente di una speciale e segreta organizzazione governativa (S.H.I.E.L.D.). Ridondante e prevedibile lo scontro finale, anche se con tutta probabilità verrà maggiormente apprezzato dalle nuove generazioni, specie negli U.S.A., patria del motto “bigger is better”. Adatto a un pubblico di giovanissimi, il film si perde in terribili dimenticanze in fase di sceneggiatura che, pur non inficiandone l’assoluto valore ludico, infieriscono sull'accettazione del pubblico di appassionati. Avremmo certamente preferito qualcosa di più politicamente schierato - i presupposti c’erano - e soprattutto più legato alle storie a fumetti. La domanda, dunque, è questa: si poteva pretendere di più da un film su un personaggio che, nei fumetti, ha goduto di una maggiore complessità e introspezione? Forse si, dopotutto Christopher Nolan e Sam Raimi hanno dimostrato quanto i cine-comics possano avere approcci diversi e allo stesso tempo godere di un'indiscussa profondità psicologica. In fondo si “gioca" con personaggi che nel bene o nel male hanno influenzato l’immaginario collettivo di molte generazioni; crediamo quindi ci sia un doveroso debito verso queste ultime nel cercare di trarre il meglio da certi personaggi.