Un tratto fondamentale distingue l’Uomo Ragno da tutti gli altri personaggi che, alla base della propria attività supereroistica, recano le ferite di un trauma giovanile. Batman o Daredevil, giusto per citare due tra i più famosi, sono destinati a rivedere in ogni criminale, in ogni vicolo buio, il volto di chi ha ucciso i loro genitori, e devono convivere con una frustrazione repressa che si alimenta del loro stesso desiderio di vendetta, mai realmente appagato e mai pienamente appagabile. Per l’Uomo Ragno, invece, il discorso è diverso: alle radici della sua “missione” non c’è un desiderio di vendetta, non c’è un livore costante che lo avvelena dall’interno, ma un profondo e irrisolvibile senso di colpa. Peter Parker non cerca vendetta o giustizia, cerca redenzione. Vive con l’aggravio perenne di un senso di responsabilità che – in quanto essere umano, imperfetto e fallibile – non potrà mai onorare completamente. Ogni familiare o amico che trova la morte per una sua colpa indiretta è destinato ad aggiungersi alla nutrita schiera di spettri che popolano i suoi incubi, condannandolo a un tormento senza fine. La sua fragilità intrinseca, il suo punto debole, è proprio ciò che lo rende umano. Supereroi di questo genere non hanno bisogno della kryptonite per mostrare la propria vulnerabilità.
Ebbene, per ricostruire tale vulnerabilità, il regista Marc Webb e la sua folta schiera di sceneggiatori sono risaliti alla genesi delle avventure di Peter Parker, favorendo così l’immedesimazione di quel vasto pubblico adolescenziale che, nei piani della Sony, costituisce il target prediletto di questo franchise. Il primo The Amazing Spider-Man, in effetti, premeva molto sui conflitti puberali del giovane Peter, mostrando l’irrequietezza di un teen-ager che doveva conciliare l’assenza di una guida paterna con l’amore per Gwen Stacy e gli stravolgimenti fisici derivanti dai suoi superpoteri, muovendo anche i primi passi come protettore di New York. I pesi della responsabilità e della colpa ne risultavano però alleggeriti, nonché meno determinanti nel suo percorso formativo, privando il personaggio di originalità e fascino empatico. In questo sequel accade qualcosa di simile: The Amazing Spider-Man 2, pur essendo complessivamente superiore al primo capitolo, manca di precisione drammaturgica, e adotta una costruzione narrativa traballante che influisce anzitutto sul rapporto fra Peter e Gwen, travolti dal solito tira e molla sentimentale che nasce e si risolve in modo troppo repentino, peraltro senza un minimo di finezza nelle sue sfumature emotive. Parallelamente, però, ne risente anche la scansione del racconto, frenato da un blocco centrale troppo verboso e privo d’azione, e incapace di approfondire sia il legame ambiguo tra l’Uomo Ragno e la metropoli newyorkese (popolata in egual misura da sostenitori e da detrattori) sia la caratterizzazione di Electro, che rischia di apparire soltanto come la macchietta di un emarginato sociale, la cui trasformazione in supercattivo sembra inoltre troppo affrettata. Tra forzature logiche un po’ fastidiose, dettagli poco verosimili e un senso di colpa che viene affrontato con eccessiva leggerezza, The Amazing Spider-Man 2 ha quantomeno il pregio di offrire alcune scene d’azione di grande impatto spettacolare – ben gestite sul piano tecnico e coreografico – che sfociano in una battaglia finale molto soddisfacente, poiché valorizzata da un buon pathos. L’Uomo Ragno volteggia come un ballerino in assenza di gravità, leggiadro e virtuosistico, sfoggiando pose plastiche da fumetto e una grande dinamicità di movimento, e regalandoci al contempo qualche sequenza di volo piuttosto vertiginosa (pur senza raggiungere i livelli dello Spider-Man 2 di Raimi), a cui però il 3D non aggiunge nulla di trascendentale.
Naturalmente questo reboot segue il modello dei cinecomic contemporanei, orientati alla serialità narrativa, e quindi la gestione dei personaggi si fa più organica in relazione alla trama: la presenza di tre antagonisti, insomma, non pesa sulla storia, poiché serve soltanto a preparare il terreno per il debutto dei Sinistri Sei nei capitoli successivi, evitando così il rischio d’incorrere nella famigerata “sindrome da Batman e Robin”. Il film si concentra infatti su Electro, mentre le apparizioni di Goblin (un intrigante Dane DeHaan) e Rhino (un Paul Giamatti poco sfruttato) sono decisamente più limitate, anche se entrambe svolgono una funzione importante nel cammino personale di Peter Parker. In tal senso, The Amazing Spider-Man 2 è il classico episodio di transizione, utile soprattutto come collante fra le origini del personaggio e il nucleo centrale della sua futura battaglia contro la Oscorp, ovvero il grande catalizzatore di tutte le minacce che aleggiano su questa saga, com’è evidente anche dai camei di Felicia Hardy (Felicity Jones) e Alistair Smythe (B.J. Novak). Purtroppo, l’approccio semplicistico voluto dalla Sony – ricco di siparietti da commedia, come nelle scene con zia May – tende a limitare le potenzialità di un supereroe che meriterebbe maggior cura nei suoi risvolti psicologici, qui decisamente trascurati in favore di una rilettura da cartoon, dove la guasconeria di Spidey si trasforma in una giocosità bambinesca che non nasconde la natura giovanile del suo pubblico di riferimento. Per i conflitti interiori c’è ben poco spazio, e il personaggio ne risulta inevitabilmente snaturato, nonostante l’indubbio physique du rôle e il talento eclettico del bravo Andrew Garfield.