Sullo schermo, come nella vita, sono numerosi i casi di rapimenti avvenuti a danno di giovani ereditiere, bambini indifesi, uomini di stato. Ma cosa accade quando a essere rapito è, invece, un celebre scrittore? Il regista francese Guillaume Nicloux risponde a questa domanda con il docu-fiction L'enlèvement de Michel Houellebecq, presentato alla 64esima Berlinale e in cartellone al Torino Film Festival 2014. Michel Houellebecq, classe 1958, è uno degli scrittori francesi più apprezzati e meglio inseriti all’interno del panorama letterario internazionale. L’autore di Le particelle elementari - dal quale è stato tratto nel 2006 l’omonimo film di Oskar Roehler - è stato al centro di una singolare vicenda che ha avuto luogo nel settembre del 2011: durante la promozione del romanzo La carta e il territorio, Houellebecq è sparito per una settimana. Solitamente puntuale ai propri appuntamenti, lo scrittore non ha dato per sette giorni alcuna notizia di sè. I media si sono immediatamente scatenati nell’elaborazione di complesse teorie che potessero spiegare questo silenzio tanto misterioso. Una delle più ardite ipotesi prevedeva addirittura che Houellebecq fosse stato rapito da qualche organizzazione terroristica affiliata ad Al- Quaeda, forse in reazione alle accuse di islamofobia e di razzismo antimusulmano che gli erano state mosse pochi anni prima nell’ambito di un processo che lo aveva visto coinvolto in qualità di imputato. Sebbene probabile, tuttavia, che la temporanea sparizione dello scrittore fosse semplicemente dovuta a un malfunzionamento dei suoi dispositivi elettronici o a una trovata di marketing e che dunque nessun rapimento avesse avuto luogo, nella fiction cinematografica Guillaume Nicloux ha presto trovato il modo di riempire il vuoto di quell’oscura settimana. Nel film, Michel Houellebecq viene imbavagliato da tre energumeni e rinchiuso in un casolare di campagna dove lo scrittore instaura con i suoi inesperti rapitori un rapporto di amicizia e reciproco rispetto che supera i confini di classe e spinge vittima e carnefici a inoltrarsi ciascuno nel territorio degli altri. Si susseguono così diverse scene esilaranti: Michel a lezione di boxe dal più muscoloso dei suoi sequestratori, Michel e Luc che discutono di letteratura e finiscono per litigare, Michel che si lamenta del vino che gli viene offerto. L’enlèvement de Michel Houellebecq procede lentamente, eppure non corre mai il rischio di annoiare: a ravvivarne il ritmo sono soprattutto battute caustiche e scene dall’umorismo grottesco che si snodano per tutta la durata del film. Nei panni di un sè stesso invecchiato e affaticato, Michel Houellebecq rivela inaspettate doti attoriali, toccando lo spettatore nel profondo con la sua interpretazione ponderata e sottile. Il suo fisico asciutto, quel suo modo innaturale di tenere fra le dita la sigaretta, la stanchezza che accompagna ogni suo movimento fanno pensare a lui come a un individuo fragile, sempre sul punto di spezzarsi. Occorre tuttavia ricredersi, davanti alla dignità di un uomo che non smette neppure in queste singolari circostanze di guardare ai fatti della vita con lucidità e fermezza. "Morire non mi spaventa. Non credo più nella vita. Se muoio ora va bene" dice pacatamente Michel Houellebecq ai suoi sbalorditi rapitori durante una chiacchierata in giardino. E, con le battute pronunciate successivamente dall’intellettuale, non si può fare a meno di interrogarsi su chi sia l’effettivo avversario della società occidentale.