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Lea

30/11/2015 11:00

Martina Calcabrini

Recensione Film,

Lea

Dopo essersi fatto conoscere nel panorama internazionale per pellicole impegnate come La meglio gioventù e I cento passi, Marco Tullio Giordana viene incaricato

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Dopo essersi fatto conoscere nel panorama internazionale per pellicole impegnate come La meglio gioventù e I cento passi, Marco Tullio Giordana viene incaricato da Rai Fiction e da Bibi Film di realizzare Lea, un biopic intenso e commovente ispirato alla vita di Lea Garofalo. Brutalmente uccisa per essersi ribellata alla malavita.


Petilia Policastro, Calabria, primi anni ’80. La giovane Lea Garofalo (Vanessa Scalera) frequenta l’altezzoso Carlo Cosmo (Alessio Praticò) e, contravvenendo alle regole sociali, dopo aver partorito Denise (Linda Caridi), va a convivere con lui. Ben presto la donna si accorge che l’uomo ha iniziato a gestire un proficuo traffico di droga e che è un mafioso rinomato e temuto da tutto il paese. Rifiutando di vivere nella paura e nell’illegalità, chiede protezione alla polizia e denuncia i traffici illeciti del compagno e dei suoi complici. L’uomo finisce in prigione ma, una volta uscito, si mette sulle tracce della donna e la fa picchiare selvaggiamente dai suoi scagnozzi. Cambiando frequentemente identità, casa e lavoro, Lea e Denise girano per l’Italia sperando di riuscire, un giorno, a condurre una vita tranquilla. Gli anni passano ma la situazione non migliora e, infatti, una sera la donna scompare misteriosamente. La figlia, sicura della morte della madre e convinta della colpevolezza del padre, chiede giustizia.


Utilizzando i materiali dell’inchiesta e del processo conclusosi nel maggio 2014, la sceneggiatrice Monica Zapelli (I cento passi) e Marco Tullio Giordana portano sullo schermo la sconcertante storia di una giovane donna determinata a combattere la malavita. Disposta a perdere tutto ciò che possiede, a rinunciare alla propria identità e a calpestare la sua stessa dignità, Lea Garofalo decide di ribellarsi alla cultura della mafia soprattutto per proteggere sua figlia dai mali del mondo. Le insegna il valore della libertà e della giustizia credendo ciecamente nel servizio delle istituzioni e del buonsenso popolare. Per mostrare la forza interiore della donna, il regista la assiste in ogni fotogramma, le si avvicina con zoom esasperati per confortarla nel momento del bisogno e la inserisce in panorami mozzafiato per regalarle, invece, l’immersione nella bellezza estatica della natura incontaminata. Ne lenisce le ferite derivanti da violenze fisiche e verbali ma si rifiuta di mostrare le scene di follia esagitata e deleteria, preferendo piuttosto vuoti e silenzi assordanti. Fortemente intenzionato a denuciare in modo verista e zavattiniano le pratiche scabrose della criminalità organizzata, Marco Tullio Giordana ne riproduce dialetti, gestualità e riti, intarsiando la pellicola di crudo realismo e schietto moralismo. In questo modo, Lea si rivela un vero e proprio documento sociale, pronto a urlare l'importanza di mantenere sempre vivi i propri ideali.


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