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Il piccolo Lord

11/12/2015 11:00

Martina Calcabrini

Recensione Film,

Il piccolo Lord

Terzo adattamento di successo dell'omonimo romanzo di Frances Hodgson Burnett

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Numerosi registi nel corso degli anni hanno realizzato trasposizioni cinematografiche de Il piccolo Lord, famoso romanzo per ragazzi scritto nel lontano 1885 da Frances Hodgson Burnett. La storia, fortemente drammatica e sentimentale, seppur intarsiata di ironia e comicità, ben si prestava a catturare l'attenzione di un pubblico variegato e disomogeneo. A quasi un secolo di distanza, nel 1980, anche il regista Jack Gold (Il tocco della Medusa) venne incaricato di creare un prodotto televisivo che potesse sintetizzare al meglio lo spirito umanitario insito nell'opera originale.


Hester Street, Stati Uniti. Dopo la morte del padre, il piccolo Cedric Erroll (Rick Schroeder) vive con la sua elegante mamma (Connie Booth) e la sua amorevole Tata Mary in un quartiere povero e desolato. Un giorno, un aristocratico maggiordomo londinese gli comunica che lui, nipote del Conte di Dorincourt (Alec Guinness), è il legittimo erede al trono. Viene quindi invitato a vivere a palazzo dove, senza l'influenza della madre, potrà imparare le usanze e i riti confacenti al suo futuro ruolo. Nonostante il temperamento burbero e refrattario del nonno, però, Cedril riuscirà a farsi volere bene e a risvegliare in lui pietà e carità, ricordandogli la gioia di amare ed essere amati.


Una fotografia calda e naturalistica, che immortala paesaggi mozzafiato e castelli medievali, immette personaggi e spettatori in una radura incantata dotata di un'atmosfera austera e regale. Abbandonate le case polverose e le taverne affollate, il piccolo protagonista viene inserito in una realtà apparentemente avversa, piena di servitori e maggiordomi intenzionati a temprarne il carattere. La sua semplicità e la sua bontà si rivelano talmente contagiose da sovvertire canoni e tradizioni centenarie. Nonostante le aspettative, il vero protagonista della storia è l'anziano Alec Guinness: istrionico e machiavellico, capace di imporre in ogni fotogramma la sua superba presenza scenica. Inizialmente ostile e glaciale come un personaggio dickensiano, si lascerà plasmare dalle mani esperte di un regista di gran cuore, che lo renderà subito parte integrante dell'immaginario collettivo. Fedele all'intento letterario del romanzo, infatti, Jack Gold costruisce un'opera piena di buoni sentimenti che, utilizzando musiche enfatiche e melodrammatiche, esalta gli antichi valori e l'aura magica del Natale.


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