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La leggenda del pianista sull'oceano

23/03/2016 12:00

Antonella Sugameli

Recensione Film,

La leggenda del pianista sull'oceano

Il monologo di Baricco, rivisitato dal maestro Giuseppe Tornatore, diventa un capolavoro

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Alessandro Baricco pubblica nel 1994 Novecento e nel 1998 Giuseppe Tornatore ne cura un'ambiziosa trasposizione cinematografica. Non avrebbe mai pensato, il regista, che il suo film avrebbe impiegato tali risorse economiche, umane e logistiche. Meno che mai avrebbe potuto prevedere il successo che la pellicola ha riscosso nel tempo. Nella prefazione si legge (per stessa ammissione dello scrittore) di un testo in bilico tra una vera messa in scena e un racconto da leggere ad alta voce. La storia narra di un macchinista del Virginian (Bill Nunn) e del suo bambino, trovato e allevato all'interno della nave. Da adulto quel bambino diventa il pianista (Tim Roth) del piroscafo da cui non scenderà mai più. Ma quando la nave va in disarmo cambia tutto.


Il monologo di Baricco, rivisitato dal maestro Giuseppe Tornatore, diventa un capolavoro di incredibile affabulazione estetica in cui la narrazione occupa un ruolo centrale fatta di voce (narrante) e musica. Già il titolo presenta allo spettatore i toni di una favola, in cui si mescolano realtà e immaginazione: la natura della storia gli verrà rivelata solo se avrà la pazienza di restare ad ascoltare fino alla fine. La leggenda di un uomo mai sceso da una nave fa il giro del mondo fino a giungere alle orecchie di Jelly Roll Morton, inventore del Jazz, che pagherà di tasca sua il biglietto per salire sul Virginian e sfidare la fama che precede l'uomo dal suggestivo nome Novecento. Nonostante non abbia mai visto il mondo, il mondo per trent'anni è entrato nella sua vita: lo ha sbirciato da un oblò e negli occhi dei passeggeri e, nonostante la visione parziale, ciò che ha imparato delle persone incontrate è sufficiente a poterle descrivere attraverso i tasti di un pianoforte. Novecento afferma la sua esistenza solitaria in mezzo all'immensità vitrea dell'oceano, semplicemente suonando.


Il personaggio attorno a cui ruota la vicenda - Danny Boodman T. D. Lemon Novecento, interpretato da uno straordinario Tim Roth - è intriso di mistero. Max Tuni (Pruitt Taylor) è la voce narrante che attraverso il racconto dà corpo a un nome. È, inoltre, testimone di una vicenda incredibile che ha l'onore di condividere. Non può esserci d'altronde fascinazione teatrale, cinematografica o letteraria senza un pubblico, un ascoltatore, un lettore. L'interlocutore casuale (personificazione all'interno della pellicola di un più generico spettatore) è un anziano venditore di strumenti, Peter Vaughan, già noto al grande pubblico per l'interpretazione del Barone Blau in Canone Inverso. La figura del venditore, assente nel libro, è stata introdotta nel film: il commerciante di strumenti musicali non è solo destinatario passivo di un racconto, ma attraverso lo stesso viene trasformato. La parola ha proprietà magiche, come nel Pifferaio Magico. Max Tuni si reca da lui per rivendere la sua vecchia tromba - fedele compagna di avventure insieme all'indimenticabile amico Novecento - ma quando il musicista, prima di separarsi dallo strumento, suona per l'ultima volta una musica struggente il rigattiere rimane senza parole perché riconosce quella melodia. Da un'antica scatola tira fuori un disco malconcio e quella misteriosa traccia diventa epifania condivisa, l'opportunità affinché la parola diventi strumento incantatore al pari della musica, attraverso una storia meravigliosa. In quell'hinc et nunc il filo della memoria viene srotolato fino a condurre lo spettatore al finale commovente, sintesi di estrema capacità poetica del regista, resa magnificamente a livello visivo. Dall'ascolto di egregie note inizia la storia del Virginian, piroscafo che - a cavallo delle due guerre - solca l'oceano e unisce Europa e America. La musica è filo rosso di una narrazione che si dipana tra ironia e levità, ma è soprattutto inchiostro attraverso cui il protagonista ricostruisce un'identità negata.


La tastiera di un vecchio piano diventa l'abbecedario di Novecento, la sua città, la sua vita. Il protagonista non scenderà mai dalla nave che lo ha partorito, le onde dell'oceano lo hanno cullato alla nascita e la voce dell'oceano canterà per lui la ninna nanna finale. Le straordinarie armonie che magicamente sembrano sfiorargli le dita sono frutto di sensazioni, il cui tragitto occhi-cuore è poi mediato dalle sue note "non normali". Le pagine del libro sono di straordinario impatto emotivo: al regista il merito di aver mantenute intatte quelle atmosfere letterarie e il plauso per averle rese immortali attraverso le immagini. Non importa come e con che mezzi, una buona storia merita sempre di essere rievocata e tramandata.


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