Nascosto dietro le “sorridenti” imposte chiuse del titolo si nasconde uno dei film horror italiani più riusciti e sconvolgenti di sempre. Un giovane Pupi Avati, dopo due film horror di scarso successo e una commedia, si cimenta con una vera e propria “storia del mistero”, cesellata alla perfezione sullo sfondo della bassa Padana; la forza dei suoi film “neri”, dice lo stesso Avati, è proprio nell’“averli ambientati in luoghi che solitamente sono considerati solari e pacifici. Dietro quest’apparenza serena ho fatto annidare qualcosa di inquietante e minaccioso”. E proprio l’assolata campagna del Ferrarese diventa l’opprimente scenario di questa storia di sangue e morte, dove ogni tipo di percezione risulta alterata, ogni paesaggio, anche il più bucolico, custodisce un mistero e ogni persona sembra avere orribili scheletri nell’armadio. Stefano (Lino Capolicchio) è un giovane restauratore incaricato di riportare all’antico splendore, all’interno di una chiesa, un dipinto parzialmente murato raffigurante il martirio di San Sebastiano del pittore naif Buono Legnani, morto suicida quarant’anni prima con la fama di artista maledetto e di “pittore delle agonie”. L’arrivo di Stefano in paese dà il là a una catena di omicidi che vanno di pari passo con le scoperte del restauratore riguardo al terribile passato di Legnani e al rapporto incestuoso con le sue sorelle, mentre l’atmosfera del borgo si fa sempre più densa di mistero e il silenzio degli abitanti sempre più omertoso e ostile. La scoperta in una villa abitata da una vecchia paralitica delle deliranti registrazioni di Buono Legnani e la sua relazione con la maestra Francesca (Francesca Marciano) portano Stefano a conoscere l’ubriacone Coppola (Gianni Cavina), l’unico disposto a rompere il muro di connivenza del paese, portandolo alla “casa dalle finestre che ridono”, teatro degli orrori del pittore e delle sue sorelle; lo spiazzante colpo di scena conclusivo e il finale lasciato aperto dal regista sono celebri. Lasciando alla seconda parte del film le scene più macabre e truculente, Pupi Avati costruisce magistralmente la tensione alternando elementi tipici del genere come porte che scricchiolano e si aprono improvvisamente, rumori improvvisi e voci gracchianti, con riprese alla luce del sole se possibile ancora più cupe e cariche di mistero, dando allo spettatore la netta impressione che nessun abitante del paese, polizia compresa, sia completamente degno di fiducia. Girato con un budget estremamente ridotto e con un cast sicuramente non eccezionale, escluso l’ottimo Gianni Cavina, il film ebbe un notevole successo di critica diventando rapidamente un’opera di culto per gli amanti del genere. Se adorate il vecchio Dario Argento, Fulci o Bava, questo è un film assolutamente imperdibile.