Un gruppo di prostitute mette una taglia di mille dollari sulla testa di due cowboy che hanno aggredito una di loro sfregiandola. Un ex criminale, William Munny (Clint Eastwood), abbandonata la vita di un tempo, è tuttavia costretto, per migliorare le proprie condizioni economiche e tirare su i due figlioli, ad accettare l’incarico. Lo accompagnano il vecchio amico Ned Logan (Morgan Freeman) e uno spavaldo giovane ansioso di uccidere. C’è un solo problema: devono fare i conti con uno spietato sceriffo, Little Bill Daggett (Gene Hackman), che non ammette passi falsi. Riesumando gli stilemi classici del western hollywoodiano, Eastwood non effettua quella che in apparenza potrebbe solamente sembrare un’operazione di attenta ricostruzione “archeologica”, ma in qualche maniera, reinventa ciò che lo ha preceduto e lo rinnova con un tocco di sincera commozione. È, sotto forma di racconto malinconico e dolente, un western cupo, dal classicismo lineare e “rilassato”, con soprassalti di dura violenza e intermezzi nostalgici. Come in altri film di Eastwood, il passato è un elemento influente sulle azioni e sui fatti; qui ha un’influenza, positiva e negativa allo stesso tempo, per William Munny; il bene e il male sono interscambiabili nella sua natura di assassino redento. La sceneggiatura di David Webb Peoples dipinge l’oscurità di un paese e suggerisce che la violenza è una delle caratteristiche predominanti dell’America, in un contesto volutamente critico e amaro che simboleggia contemporaneamente l’ascesa e la caduta di un’epoca. I paesaggi lucidi e crepuscolari si caricano di una commovente valenza espressiva, segno che nel cinema di Eastwood non contano solo l’azione e i personaggi. Oltre alla secca fotografia di Tom Stern, comunque, va segnalata la mirabile direzione degli attori, tutti eccellenti, con un Gene Hackman sopra tutti; il suo sceriffo gli valse un Premio Oscar. Vendetta e redenzione sono i suoi due poli. Un finale di fosca potenza e tragica ambiguità.