Ci sono anfratti del cinema a cui è meglio non avvicinarsi. Generi tanto oscuri che il grande pubblico ignora. Oltre alla patina hollywoodiana, alle star dal cachet milionario, dietro le produzioni sbanca botteghini farcite di messaggi pacifisti e buonismo, c’è ben altro. Un sottobosco cinematografico che pochi conoscono, composto da film, generi e sottogeneri davanti ai quali i più storcono il naso, schifati a priori. Potremmo tranquillamente definirle le viscere del cinema; una serie di condotti e fondamenta che sorreggono e alimentano il mercato dei mainstream. Aggirandosi per queste oscure gallerie, molto interessante è senza dubbio il genere rape and revange. Tradotto: stupro e vendetta. Un tema non proprio leggero, con il quale molti maestri del cinema moderno si sono confrontati: Sam Peckinpah con Cane di Paglia, interpretato da uno straordinario Hoffman, e Wes Craven con L’ultima casa a sinistra, talmente disturbante da essere lanciato con la tag-line ossessiva “It’s only a movie”, come a rassicurare gli spettatori. Ma accanto a questi due pilastri, vi è un molto meno noto, ma decisamente più brutale, Non violentate Jennifer. Goffo titolo affibbiato dagli esercenti italiani e palese richiamo al filone dei “Non” (basti pensare a Non aprite quella porta e Non entrate in quella casa). Girato dallo sconosciuto Meir Zarchi, il film uscì originariamente nel 1978 con il titolo Day of the woman ma venne ritirato dopo un paio di settimane per gli scarsi risultati ottenuti al botteghino. Ridistribuito nel 1981 con il più accattivante titolo I spit on your grave, Sputo sulla vostra tomba, il film raccolse subito uno stuolo di critiche tutt’altro che lusinghiere. E più le critiche erano infamanti, più gli incassi aumentavano. Emblematica è quella di Siskel ed Ebert che lo definirono: “Il film più disgustoso che sia mai stato realizzato”. Alcune riviste specializzate di cinema horror invece lo hanno definito “Una delle rappresentazioni di violenza carnale più crude e scomode della storia del cinema”. La pellicola è inoltre una delle più censurate in assoluto. Tutto ciò, ovviamente, non ha fatto altro che alimentare la leggendaria aurea nera che circonda Non violentate Jennifer. La trama è quanto di più semplice si possa immaginare. Una bella ragazza di città (Camille Keaton, pronipote di Buster Keaton) scrittrice, si ritira in un cottage isolato tra i boschi per portare a termine il nuovo libro. Il suo arrivo in paese desta l’interesse di un gruppo di villici locali che iniziano a seguirla e spiarla, facendo diventare lo spettatore complice del loro voyerismo. Ma a lungo andare, il guardare non basta più, da qui la violenza carnale, ripetuta e brutale. Rape. Creduta morta, gli aggressori abbandonano il corpo martoriato nella sua villa. Ma Jennifer, sebbene devastata fisicamente e psicologicamente, si risveglia bramosa di vendetta. Revange. Dall’introduzione dei personaggi (girata in modo molto elementare) si passa ad uno stile di regia (soprattutto nella parte centrale del film) che non riesce a elevarsi mai oltre la mediocrità e con un audio che, almeno nella versione originale, è scadente al punto che alcuni dialoghi risultano incomprensibili (uno di pochi vantaggi del doppiaggio). La rappresentazione dello stupro (anzi, degli stupri, per un totale di quasi 40 minuti di pellicola) invece, è fin troppo chiara: lo spettatore viene trascinato con Jennifer nei boschi in cui si ritrova a vagare spaesata, subendo un abuso dopo l’altro; umiliazione dopo umiliazione. Un vero e proprio pugno nello stomaco sferrato con forza omicida. La parte conclusiva in cui la ragazza compie la propria vendetta, sebbene macchinosa, è comunque godibile per qualsiasi appassionato di filmetti horror/slasher anni ’70. Un film sporco, violento, misogino, brutale e disturbante, ma che a modo suo riesce anche a fare denuncia su un problema ancora attuale. Controverso e agghiacciante nella sua impietosa messinscena, spogliato persino della colonna sonora per rendere il tutto ancora più brutale, Non violentate Jennifer è decisamente sconsigliato al grande pubblico, ma merita di essere visto almeno una volta dai più temerari cinefili. La visione del film lascerà di certo un segno indelebile.