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Enclave

02/11/2016 11:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

Enclave

Kosovo, 2004...

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Kosovo, 2004. Anche in seguito alla fine del conflitto il Paese è spaccato in due e i rancori ancora esistenti tra i serbi e gli albanesi costringono le forze armate della NATO a pattugliare il territorio. Il piccolo Nenad, serbo, vive con il padre e il nonno morente ed è l'unico alunno della sua classe: ogni giorno va a scuola scortato dai militari, ma improvvisamente la sua maestra abbandona il suo compito avendo trovato una cattedra a Belgrado. Il bambino così fa così la conoscenza di alcuni coetanei albanesi, ma uno di questi non lo vede di buon occhio provando risentimento nei suoi confronti in quanto il padre venne ucciso da un membro della sua etnia. La concomitanza di un matrimonio e di un funerale segnerà il controverso rapporto tra queste giovanissime vittime della guerra.


Il regista serbo Goran Radovanovic proviene dal mondo dei documentari e anche la sua seconda incursione nel lungometraggio di finzione non tradisce quei connotati di realismo da sempre insiti nel suo cinema. Enclave è un film che racconta tematiche aspre e crude con un certo equilibrio, sospeso in un straniante limbo tra didascalismo e simbolismi, siano questi di matrice religiosa o prettamente aderenti alle emozioni umane più aspre e terrene. In una narrazione dove torto e ragione convivono in entrambe le fazioni in campo l'amicizia contrastata tra due innocenti si offre quale simbolo di possibile speranza per un futuro di pace, dando vita ad una narrazione prevedibile (il "colpo di scena" finale è più che scontato) e solo parzialmente efficace, messa in atto attraverso una progressione ellittica nella quale prologo ed epilogo paiono beffardamente coincidere, tra squarci di pura dolcezza e altri di dolente amarezza. Purtroppo all'interno di questo racconto formativo ai tempi post-bellici si muove una retorica che, seppur condivisibile nei succitati intenti di un possibile futuro di pace, appesantisce la potenziale originalità del racconto che solo le ottime performance del cast, piccoli interpreti in primis, riescono a rendere più credibile e pulsante. Peccato anche per un eccessivo sguardo folkloristico di dogmi e tradizioni autoctone che, interessanti nelle premesse, si rivelano solo un mero e sbrigativo riempitivo al nucleo centrale della vicenda.


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