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Il sapore della ciliegia

14/07/2017 11:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

Il sapore della ciliegia

L'inno alla vita di Abbas Kiarostami

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Un uomo vaga con la sua automobile alla ricerca di qualcuno che, dietro un lauto pagamento, compia per lui un incarico inizialmente ignoto. Dopo i primi tentativi, senza fortuna, il guidatore dà un passaggio a un giovane militare di stanza in una caserma lì vicino, svelando a lui e al pubblico il suo reale intento, quello di suicidarsi: chi accetterà il gravoso impegno dovrà recarsi la mattina seguente in un luogo convenuto per seppellire il suo corpo in una fossa già scavata o, nel caso avesse cambiato idea, per svegliarlo e aiutarlo a rialzarsi.


Palma d'oro al Festival di Cannes, ex-aequo con L'anguilla (1997) di Shôhei Imamura, Il sapore della ciliegia è un film prezioso nel suo raffinato minimalismo. Un'opera intrisa di speranza, che tratta una tematica complessa quale quella del suicidio con una delicatezza contagiosa e suadente. Il maestro iraniano Abbas Kiarostami opta per uno stile di ripresa essenziale, seguendo pari passo e quasi in tempo reale il suo protagonista, osservato spesso dall'interno della vettura o in ariosi campi larghi come a sottolineare la distanza tra l'interiorità dell'uomo e il mondo esterno, indicando una metaforica via dal salvezza da quel dolore nascosto (e mai rilevato) che questi si porta dentro fino al punto di optare per l'estremo gesto. La stessa apparente ambiguità nascosta nella prima parte, con le potenzialità poi inespresse che Mr. Badii (questo il nome) sia omosessuale, è in realtà mezzo efficace per nascondere inizialmente il reale intento, poi esasperato nell'infruttuosa ricerca di qualcuno che consegni le sue future spoglie a madre terra. Si parla di religione e di guerra nei novanta minuti di visione, ma il centro focale della narrazione è un poetico inno alla vita e all'immutevole bellezza delle cose semplici; di come l'alternanza delle stagioni, con il ricambio dei frutti (e da qui non a caso il titolo), possa portare gioia quanto l'assistere al sorgere di una nuova alba. Un racconto dolceamaro popolato di splendidi personaggi di contorno, improvvisati compagni di viaggio pronti (chi più chi meno) a comprendere e ad alleviare il dolore del guidatore afflitto. Impreziosito da un doppio finale, il primo prettamente narrativo e aperto ad ogni possibilità e il secondo, che frantuma la quarta parete e coniuga armoniosamente realtà e messa in scena.


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