Nel 2014 esce Il ragazzo invisibile, il primo film di supereroi italiano post 2000. Le premesse per qualcosa di buono ci sono tutte: un grosso nome in regia (Gabriele Salvatores, uno che di storie di ragazzi se ne intende), pochi volti di spicco confinati in ruoli da comprimari per non rubare la scena ai giovani, una campagna marketing cross-mediale che ha il suo culmine con una presentazione al Lucca Comics in cui presenziano il cast sia artistico che tecnico. Nonostante le buone intenzioni e gli altrettanto buoni incassi in sala, il film non soddisfa le aspettative: una dilagante sciatteria pervade sceneggiatura – non c’è una sola idea che non si sia vista almeno qualche dozzina di volte nei cinecomics dell’ultimo ventennio, oltre al fatto (anche un po’ imbarazzante alla lunga) di mostrare continuamente un ragazzino di 13 anni completamente nudo – e recitazione dell’intero cast.
L’anno successivo arriva al cinema quel piccolo miracolo di Lo chiamavano Jeeg Robot, dimostrando a tutti che è possibile realizzare un cinecomic originale e credibile anche nel nostro paese. La messa in cantiere del sequel de Il ragazzo invisibile non è sbandierata come il primo capitolo e anche la sua uscita in sala passa un po’ in sordina. Gabriele Salvatores è ancora alla regia, il cast di attori è rimasto invariato, la storia è una coerente prosecuzione di quella già narrata. E, nonostante alcuni difetti siano stati corretti, restano comunque troppi per poter parlare di un buon film.
Michele è rimasto orfano, vive alla giornata schivando i coetanei, frustrato dal fatto che nessuno sappia che è stato lui a salvare la città tre anni prima. Ritornerà a sorridere quando ritroverà sua madre e sua sorella, entrambe “speciali” come lui.
Il problema principale di questo sequel è che “vuo fa' l’americano ma è nato in Italy”; da un team di persone che, per giunta, sembrano sapere poco o nulla dell’argomento supereroi e cinecomics. Il cardine della storia è un ragazzo adolescente, abbandonato a se stesso, che ha il potere di diventare invisibile: come minimo sarebbe il presupposto ideale per mettere in scena una storia di dramma è crescita – il ragazzo ha perso due madri (non una, ma due!) e un padre – con risvolti magari imprevedibili dato la sua capacità speciale. Invece nulla; la scena più borderline è lui che si ubriaca alla festa di un amico e minaccia di svelare la propria invisibilità al mondo.
Inoltre se si parla di cinecomics, uno dei presupposti fondamentali sono le scene d’azione. Non necessariamente colossali, bastano anche cose più piccole. Qui invece il tasso d’azione è prossimo allo zero e persino nella scena finale (dove in genere si riservano sempre i colpi più spettacolari) sembra accadere poco o nulla, con sei cattivi contro il nostro protagonista che... se ne stanno impalati a guardarlo mentre lo scontro si riduce ad un uno contro uno a distanza!
Insomma, se il primo film era insipido, questo secondo capitolo riesce a esserlo ancora di più. Un film di supereroi dove il protagonista non è un eroe, né tantomeno è super. Dove non vi è la minima traccia d’azione e la parola “epicità” non è nemmeno stata cercata sul vocabolario dagli sceneggiatori. Dove, se l’evidente ispirazione sono gli X-Men, tutto il discorso sulla diversità non esiste perché l’unico motivo per cui Michele risulta essere “diverso” è semplicemente perché è antipatico agli altri personaggi. Figuramoci agli spettatori.