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Nome di donna

08/03/2018 12:00

Marcello Perucca

Recensione Film,

Nome di donna

Marco Tullio Giordana torna con un film d'impegno, dedicato alle donne

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Il tema trattato da Nome di donna, ultimo film di Marco Tullio Giordana, è quanto mai attuale e di sicuro impatto: si parla, infatti, di molestie sessuali sui luoghi di lavoro e, soprattutto, della difficoltà da parte delle donne di ribellarsi a tali situazioni. Il film si svolge in un paesino della bassa pianura lombarda, un luogo apparentemente idilliaco dove la vita sembra scorrere in maniera serena. Nina, la giovane protagonista interpretata da Cristiana Capotondi, che di mestiere farebbe la restauratrice ma che ha perso il lavoro a causa della crisi, si trasferisce qui da Milano per prendere servizio come inserviente presso una prestigiosa clinica privata per anziani diretta da Marco Maria Torri (Valerio Binasco) che tutti chiamano Dottor Torri ma che in realtà possiede solo il diploma da ragioniere. A capo del personale c’è Don Ferrari (Bebo Storti), un prete interessato più agli utili della clinica che a mettere in pratica gli insegnamenti del Vangelo. Nina diventa oggetto di molestie da parte di Torri e scopre che, come lei, molte altre lavoratrici della clinica, italiane e straniere, hanno subito violenza dal direttore, con il silenzio colpevole di Don Ferrari. Ma Nina decide, aiutata dal sindacato e da un prete di campagna (Renato Sarti), di reagire a questa condizione di sudditanza. Il suo atteggiamento coraggioso la renderà, tuttavia, vulnerabile e sottoposta a mobbing da parte della dirigenza della struttura, nonché isolata dalle colleghe, impaurite per possibili ritorsioni nei loro confronti.


Marco Tullio Giordana, che spesso ha fatto del suo cinema uno strumento di impegno civile, ritorna con Nome di donna a occuparsi di temi scottanti e ancora non risolti della nostra società. In questo caso lo fa ragionando soprattutto sulle vittime, su ciò che l’abuso di potere provoca e su quali meccanismi genera nella mente di chi la violenza la subisce. Sulla paura di denunciare le molestie sessuali nei luoghi di lavoro e su come il timore di perdere il posto possa far passare la vittima dalla parte del torto agli occhi della società.


Purtroppo, a queste nobili intenzioni non corrisponde un film all’altezza dei temi trattati. Il film di Marco Tullio Giordana, non recitato benissimo, tende a scadere nel didascalico: il tratteggio dei personaggi è piuttosto grossolano, privo di sfumature. Il rischio, oltretutto, è di sembrare uno spot di una delle principali sigle sindacali italiane. Certo, lo spettatore non può che indignarsi e parteggiare per Nina, ammirato dalla sua volontà di non arrendersi e di andare a fondo, denunciando quanto ha subito. Ma ciò non basta a far decollare il film, che resta costantemente su livelli mediocri, non degno di un regista che, in altre occasioni, si è fatto apprezzare in maniera decisamente superiore.


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