Annientamento è sbarcato su Netflix lo scorso 12 marzo dopo essere uscito in sala con release limitata in sole tre nazioni (Stati Uniti, Canada e Cina): è un segno di come il mondo stia cambiando, ibridando la distribuzione ordinaria con quella streaming. Ed è proprio il cambiamento (sia personale che del mondo che ci circonda) il cardine attorno al quale ruota la storia di Annientamento. Alla regia c’è Alex Garland, al suo secondo lungometraggio - o forse terzo, viste le recenti dichiarazioni di Karl Urban in merito al Dredd 3D del 2012, in cui Garland è accreditato come sceneggiatore ma pare che effettivamente abbia anche diretto il film - dopo il bellissimo e inquietante esordio di Ex Machina. Resta nel territorio della fantascienza “alta”, che racconta storie semplici attraverso le quali riesce a far riflettere lo spettatore su concetti ben più profondi e stratificati. Un meteorite si è schiantato sulla Terra, generando una specie di enorme cupola (denominata Shimmer, in italiano Bagliore) che si espande, inglobando e mutando tutte le forme di vita che incontra sul suo cammino. Tutte le squadre inviate a esplorare questa “Area X” non hanno riportato alcun dato significativo o, più spesso, proprio non sono tornate. Lena (Natalie Portman), biologa con un passato militare, si unisce a una squadra di quattro scienziate incaricate di far luce su ciò che sta accadendo. Il film è un libero adattamento dell’omonimo romanzo di Jeff VanderMeer, primo capitolo della trilogia dell'Area X. Interessante però notare come Annientamento presenti al suo interno una struttura e una mitologia che sembrano derivare da un altro libro. La storia di un meteorite caduto nei pressi di una fattoria isolata in mezzo a una valle, che inizia ad appestare ogni forma di vita nelle vicinanze, espandendo sempre più il proprio raggio d’azione. Piante, animali ed esseri umani mutano, avvizziscono o si trasformano, tingendosi di un colore che è impossibile descrivere e che emette uno strano bagliore. Il racconto in questione è Il colore venuto dallo spazio, scritto da H.P. Lovecraft nel 1927 e adattato nel 2008 da Ivan Zuccon in Colour from the Dark. Tornando ad Annientamento, Alex Garland riprende da Ex Machina il discorso del confronto tra umano e non-umano (là era un androide senziente, qui un’entità aliena non meglio identificata) attraverso il quale entrambi i soggetti apprendono e si evolvono. La tematica viene ampliata e lo scontro questa volta non è più uno-a-uno, ma di massa: il gruppo di donne contro l’ambiente circostante che, esattamente come l’androide Ava, cerca di corromperle con insidia e seduzione. Le quattro donne esplorano l’ambientazione senza avere idea di che cosa potrebbero trovare; in questo caso (l’aspetto più puramente cinematografico, per cui si rimpiange di non poter vedere il film al cinema) lo spettatore è frastornato e incredulo come le protagoniste. Ogni punto di riferimento viene meno, ogni logica è decostruita e una volta privati di tutto ciò la sola cosa che ci resta è l’istinto. Perciò a ogni nuovo attacco o sorpresa di questo mondo alieno corrisponde un’evoluzione delle protagoniste - talvolta psicologica, talvolta fisica – che le condurrà (e lo spettatore con loro) sino allo stadio finale in cui la morale pessimistica ancora una volta si ricollega a Ex Machina. In battuta finale una postilla sulla distribuzione ibrida di cui parlavamo in apertura. Non è una trovata di marketing come nel caso di The Cloverfield Paradox, ma un escamotage dei produttori per evitare un grosso flop al botteghino. Infatti dopo alcuni test screening il film venne giudicato “troppo complesso” ma data la fermezza di non apportare alcun tipo di cambiamento si è optato per una distribuzione alternativa. Un peccato, perché il film ha delle trovate visive davvero notevoli; ma se non fosse stato così ad Annientamento sarebbe probabilmente toccata la stessa sorte di Blade Runner 2049: un’estetica raffinata e una fantascienza complessa si sarebbero scontrati con i gusti del pubblico di massa.