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Kosmos

26/11/2018 12:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

Kosmos

Dalla Turchia un raffinato dramma "fantastico" d'autore

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Uno straniero arriva in un piccolo paesino turco, situato al confine, e viene subito ben accolto dagli abitanti, in quanto protagonista del salvataggio di un bambino che stava annegando nelle ghiacciate acque del fiume. Il padre del ragazzino in cambio lo accoglie a braccia aperte, così come la sorella adolescente del miracolato: scoprono che il nuovo arrivato si chiama Kosmos e gli offreno un posto e dei soldi per ambientarsi nel luogo. Ma l'uomo, che comunica anche attraverso strani versi, vive mendicando e di piccoli furti, attirandosi sempre di più le antipatie di una comunità chiusa, per altro già scossa dalla lunga guerra avente luogo a pochi chilometri di distanza. L'incontro con altre donne e strani personaggi giunti per caso o per necessità in quel posto dimenticato da Dio rischiano di rovesciare per sempre gli equilibri e quando lo straniero dimostra delle inspiegabili capacità di guarigione nei confronti degli ammalati, l'ammirazione iniziale cede ben presto spazio alla paura del diverso.


Un'opera che racchiude enormi significati, qui manifestati in una tipica rappresentazione d'autore che si affida alle scene madri e alla fredda ambientazione per raccontare una storia dal sapore quasi divino che si apre a più varianti. Originario di Istanbul, il regista Reha Erdem non ha mai trovato una distribuzione in Italia, nonostante i suoi lavori abbiano ricevuto il plauso della critica ai diversi festival nei quali sono stati presentati. E Kosmos non fa eccezione, ponendo allo spettatore uno sguardo d'insieme capace di conquistare la mente e la vista nella melanconica messa in scena, la cui drammaticità è sempre virata ad un tono surreale di concezione fantastica. Il protagonista sembra un ideale mix tra L'idiota di Dostoevskij (e non è un caso notare accostamenti con l'adattamento nipponico del romanzo firmato da Akira Kurosawa nel 1951) e Gesù Cristo: il primo per il suo carattere gentile ma stralunato, il secondo per i poteri che si manifestano nella seconda metà di visione e che lo trasformano in un salvatore più temuto che rispettato. Certo è che i comportamenti bizzarri dell'uomo non lo aiutano e che trovi anime affini solo nelle figure femminili, con una delle quali comunica esclusivamente attraverso ululati selvaggi (e che ricorda quanto realmente accaduto in un villaggio turco del Nord, dove gli abitanti utilizzavano il cosiddetto "fischio degli uccelli").


La tematica della guerra e della paura verso lo straniero è poi predominante in tutte le due ore di visione, e il fatto che il conflitto non venga mai mostrato nella sua essenza, ma soltanto attraverso la presenza dei militari e il continuo fragore dei bombardamenti in lontananza, dona ulteriore fascino al già magnetico racconto. E proprio il sonoro gioca un ruolo fondamentale, con le musiche e i rumori di fondo che trovano sempre ideale armonia con le immagini, dando vita a passaggi di struggente e poetica bellezza nonché di brutale violenza: una delle figure di contorno è a capo del macello del villaggio e vengono più volte mostrate le truci esecuzioni e i dissanguamenti (secondo il credo islamico) dei bovini. La fotografia coglie al meglio lo spoglio e glaciale fascino del paesaggio al centro della vicenda, e gli attori si offrono senza remore di sorta a ruoli spesso scomodi e complessi, su tutti lo "straniero" Sermet Yesil in una parte che inquieta e intenerisce al contempo. Kosmos risulta alla fine dei conti un film di straniante magia, magistrale nel coniugare un'estetica appagante ad una profonda analisi dei legami umani alle prese con contesti crudi e reali e con eventi aldilà di ogni aspettativa, con tutti i pro e i contro che ne conseguono.


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