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Captive State

27/03/2019 11:00

Marco Filipazzi

Recensione Film,

Captive State

Una Terra governata dagli invasori alieni

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Le invasioni aliene al cinema non sono certo un argomento nuovo: affollano gli schermi sin dal 1951, anno in cui nelle sale approda il seminale Ultimatum alla Terra, seguito a ruota un paio d’anni dopo dalla prima trasposizione del capolavoro di H. G. Wells (datato 1898!) La guerra dei mondi. In generale tutti gli anni ’50 e ’60 sono stati segnati da questo filone fantascientifico, al centro del quale c'era lo scontro tra uomo ed extraterrestri (L'invasione degli ultracorpi, La Terra contri i dischi volanti), trasformando in intrattenimento la dilagante paura della Guerra Fredda: dietro le maschere di gomma degli alieni - infatti - si celavano i comunisti, spie silenti nascostre nel paese, camuffati da comuni cittadini, ma in realtà pronti a sferrare il proprio micidiaele attacco. La fantascienza è sempre stata uno specchio deformante della nostra realtà, ma questo tipo di cinema, all’inizio, aggiungeva a questa metafora una forte connotazione politica. Un messaggio che negli anni si è affievolito sino a perdersi del tutto in favore di declinazioni horror (La cosa), demenziali (Fuori di testa, Killer Klowns from outer space), spettacolarizzazioni (Independence Day), arrivando fino al cinema per ragazzi (la saga di Transformers).


Solo ultimamente stanno tornando di moda (sporadici) film di fantascienza politicizzati, inedite visioni di un mondo futuro, ma non troppo, che sono metafora della nostra società. Captive State è uno di questi e, sebbene abbia alla base un canovaccio abbastanza classico, la messa in scena e la regia di Rupert Wyatt lo rendono un film potente sotto diversi punti di vista. E non è una sorpresa, dato che proprio Wyatt qualche anno fa aveva diretto il buon L'alba del pianeta delle scimmie, incipit della saga prequel poi portata a egregio compimento da Matt Reeves, senza perdere (anzi, accentuando) l’occhio alla critica sociale.


Captive State non ci racconta l’arrivo degli invasori e la lotta dell’umanità per difendere il nostro pianeta, ma ne fa una premessa, spostando la storia in una Terra governata dagli invasori alieni da ormai 9 anni. Un totalitarismo all’ennesima potenza, dove il divario tra ricchi e poveri è abissale, dove ogni persona è tracciata da un localizzatore impiantato sottopelle, dove sciami di droni-spia osservano ogni nostro movimento e dove astronavi decollano quotidianamente con a bordo disertori e dissidenti che verranno portati chissà dove (e incontro a chissà quale destino). Tra gli anfratti di questa società dilaniata e iper-controllata si annida, però, il germoglio di una flebile resistenza che non accetta gli alieni come propri padroni. Toccherà quindi a questo pugno di persone «accendere il fiammifero che farà scoppiare una guerra».


Il concetto alla base del film è molto starwarsiano, rievocato a gran voce (e in svariati momenti cruciali) proprio da questo monito che immediatamente fa venire in mente le parole di Poe Dameron: «Siamo la scintilla, che appiccherà il fuoco, che brucerà il Primo Ordine». Le analogie con la saga di George Lucas si fermano però qui, perchè per il resto Captive State pesca a piene mani dalla realtà più squallida e disperata, trasformando Chicago in uno scenario post-apocalittico, dove interi quartieri giacciono in rovina, distrutti dalla guerra ormai remota tra uomini e alieni. Un senso di distruzione, abbandono e squallore aleggia costantemente nelle inquadrature, amplificato da una fotografia fredda e cupa e da uno stile di regia documentaristico, fatto quasi interamente di macchina a mano che segue i personaggi dentro palazzi fatiscenti, nascondigli sotterranei, appartamenti abbandonati.


Questo taglio realistico è tanto marcato che sembra di guardare un film di Paul Greengrass, ma con gli alieni. Alieni che in realtà compaiono pochissimo sullo schermo, in una manciata di scene, ma la cui presenza è più che percepibile, anzi. Incombono su di noi come oppressori invisibili (le citazioni al Il Grande Fratello di George Orwell si sprecano), amplificando il senso di dittatura di questa società futuristica (il film si svolge nel 2026), eppure così vicina al nostro presente per chi è in gardo di coglierne i segni. Captive State è un film con almeno un paio di piani di lettura, dal ritmo serrato e tesissimo; una trama virata più allo spionaggio che alla fantascienza, che sfodera un paio di colpi di scena inaspettati e un finale notevole oltre che a un John Goodman in splendida forma.


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