La (ormai passata) annata horror è compresa in una sorta di parentesi aperta e chiusa da due pellicole che all'apparenza potrebbero avere molti punti in comune - sicuramente uno spunto abbastanza simile - ma che in realtà non potrebbero essere più diverse. Inaugurata con A quiet place - Un posto tranquillo, presentato al South by Southwest a inizio marzo 2018, e chiusa con l'arrivo di Bird Box su Netflix lo scorso 21 dicembre. Tutti e due i film sono variazioni del genere horror, basate su premesse post-apocalittiche (entrambe abbastanza kinghiane) in cui il mondo e la vita quotidiana vengono sconvolte dall'arrivo (mai ben chiarito) di mostri/alieni/demoni. Nel primo film, tali creature avevano un udito talmente sensibile da costringere i superstiti a una vita ovattata, priva di qualsiasi tipo di rumore, costretti a comunicare tra loro solo attraverso il linguaggio dei segni. A quiet place - Un posto tranquillo è la storia di una famiglia che cerca di sopravvivere conducendo una vita normale nei limiti del possibile; uno spunto originalissimo che nella seconda parte si perde un po’, trasformandosi in un ordinario home-invasion. In Bird Box, invece, la storia è meno lineare (si sviluppa quasi interamente attraverso lunghi flashback che raccontano l'avvento delle creature e la lotta per la sopravvivenza all'inizio di questa tragedia) e molto più intimista. La regista Susanne Bier (che nel curriculum annovera per lo più drammi familiari come In un mondo migliore, per cui ha vinto l’Oscar nel 2011 come miglior film straniero, o Una folle passione) non è proprio quella che si definirebbe una veterana del genere horror e difatti si concentra molto più sui personaggi e sulla loro psicologia, piuttosto che sulle atmosfere. Andy Muschietti era in lizza prima di lei, già dal 2014, anno in cui la Universal acquista i diritti del libro La morte avrà i tuoi occhi di Josh Malerman. Una serie di lungaggini burocratiche fanno slittare il film, che passa in mano a Netflix, e Muschietti molla tutto per concentrarsi sul doppio adattamento di It. Non proprio un brutto affare. In Bird Box Sandra Bullock interpreta una ragazza madre che, all'inizio dei flashback, è incinta e vive una condizione di amore/odio con il nascituro che porta in grembo. Di ritorno da una visita all'ospedale inizia l'apocalisse: la gente attorno a lei cade vittima di irrefrenabili istinti suicida (un po' come accadeva nel bruttino E venne il giorno di M. Night Shyamalan), indotto da creature (forse demoni, forse alieni) invisibili sulle quali, se si posa accidentalmente lo sguardo, si impazzisce. L'unica soluzione per sopravvivere è, dunque, quella di bendarsi. Bird Box è il classico film che odora di riciclo sin dal trailer: situazioni già viste, temi già raccontati più e più volte – in questo caso non c’è nemmeno un secondo piano di lettura, nessun messaggio sociologico nascosto, nessuna chiave d’interpretazione alternativa se non la storia stessa – di personaggi stereotipati e tagliati con l’accetta del politically correct. Tolto lo spunto iniziale, la lotta dei protagonisti per la sopravvivenza, non aggiunge nulla di nuovo a quanto già detto da film simili: da Io sono leggenda a The Mist (la scena del supermercato è pressoché identica) sino all’ennesima, strascicata stagione di The Walking Dead. Anche i personaggi non fanno grossi sforzi per andare oltre lo stereotipo e attori come John Malkovich sono parecchio sotto-sfruttati. Eppure, per qualche strana alchimia, il film riesce a reggersi sulle proprie gambe e a funzionare in maniera efficace, a tenere un ritmo discreto nonostante le scene di dialogo siano di gran lunga più numerose di quelle d’azione o di tensione e nonostante l’horror puro sia quasi del tutto assente. Anche il finale, che molti hanno trovato troppo ruffiano, a ben pensarci era uno dei pochi possibili per non scivolare in un pessimismo autoreferenziale. La chiusura perfetta di un film che non è perfetto, ma che lascia una bella sensazione quando iniziano a scorrere i titoli di coda.