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La Principessa e il Ranocchio

22/04/2010 11:00

Valerio Ferri

Recensione Film,

La Principessa e il Ranocchio

Era ormai dal 2004 (Mucche alla riscossa) che gli studi Disney non sfornavano un lungometraggio animato realizzato attraverso la tecnica tradizionale, lontana d

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Era ormai dal 2004 (Mucche alla riscossa) che gli studi Disney non sfornavano un lungometraggio animato realizzato attraverso la tecnica tradizionale, lontana dalla sempre più osannata e discussa animazione computerizzata. Il ritorno alla bidimensionalità non poteva non essere accompagnato dalla riproposizione di temi tra i più cari alla storica tradizione disneyana, quali il trionfo degli umili, il raggiungimento di sogni irrealizzabili e l’amore fiabesco. Tuttavia è innegabile che La Principessa e il Ranocchio segni un’importante tappa evolutiva nel percorso dell’azienda americana ed in parte anche una cesura con il passato; indubbiamente la più significativa degli ultimi venti anni perlomeno nei suoi tratti fondamentali.


Wilson diventa il 28° Presidente degli Stati Uniti e New Orleans si appresta ad affrontare il primo conflitto mondiale. Nel capoluogo della Louisiana vive una famiglia di colore e di condizioni molto umili. L’unica figlia, Tiana, matura il sogno di aprire presto un ristorante con il padre. I grandi sacrifici del padre, culminati con la morte dell'uomo durante la Grande Guerra, contribuiranno a formare in lei ancora più forza di volontà e determinazione, tanto da spingerla a dedicare tutta la sua vita alla realizzazione del suo desiderio, trascurando i fisiologici svaghi della giovinezza. Una volta accumulata la fatidica cifra per avviare l’attività, grazie al suo lavoro da cameriera, i pregiudizi degli abitanti le impediranno comunque di raggiungere il fine tanto agognato, creando uno squarcio nella sua corazza di convinzioni e certezze. Persa qualsiasi speranza, la giovane fanciulla si rivolge allora alla "Stella della Sera", ma l’intervento del Deus ex machina le renderà solo un bizzarro ranocchio parlante. Il buffo animale si rivela però essere un principe sui generis caduto sotto l’incantesimo del macabro Dr. Facilier, un allampanato stregone voodoo corruttore di anime, intenzionato ad assoggettare la città al volere dei suoi "amici dell’aldilà". L’unico rimedio per rompere la maledizione del principe ranocchio è il bacio di un principessa. Allettata dalle promesse del principe, Tiana decide di aiutare il malcapitato, ma qualcosa andrà storto e i due si ritroveranno loro malgrado compagni di avventura nel risollevare le sorti del proprio destino...


Difficile non rimanere subito incuriositi dal colore della pelle della giovane protagonista, ma individuare in lei unicamente una fedele espressione del cambiamento socio-culturale dell’era Obama significherebbe sminuire la coraggiosa scelta degli autori. Tiana porta dietro di sé anche significative novità negli stilemi disney che dimostrano come il disegno della protagonista sia piuttosto un escamotage interlocutorio - non certo fine a sé stesso - per far risaltare le radicali innovazioni dell’opera. D’altra parte è innegabile che i fermenti culturali dell’ultimo biennio abbiano influenzato non poco le decisioni e gli orientamenti dei padri di Biancanevee de La Bella Addormentata. Ecco nascere dunque un anti-principessa disillusa, fermamente convinta che impegno e sacrificio siano gli unici mezzi per raggiungere lo scopo, a dispetto di chi un sogno ce l’ha ma si aggrappa fatalisticamente solo al proprio bisogno di trascendenza. Il mito del self made man di matrice americana non poteva allora che essere ambientato nella New Orleans del jazz e dei grandi ristoranti, un connubio eccellente per enfatizzare il grande sogno americano del Primo Novecento e donare un po’ di freschezza agli ormai stantii patterns disneyani. La contagiosa ondata di modernità non si ferma qui, tanto da investire anche il canonico stereotipo del Principe, da eroe senza macchia a giovane dongiovanni spensierato e squattrinato, fino ad inghiottire anche la stessa rappresentazione del male, ora più concreto che mai nell’animo stesso degli individui e maggiormente stilizzato nelle sue sfumature. Lo stravolgimento cruciale risiede però nel moralismo più profondo della narrazione. Sebbene la linea di demarcazione tra il Bene ed il Male sia molto netta, le figure che dominano la scena non sembrano portare il vessillo manicheo dei due schieramenti, o quantomeno non ne acquisiscono interamente la consapevolezza. In particolar modo, si avverte come i personaggi “positivi” non combattano il Male perché portatori di sani valori, ma si ritrovino piuttosto a doverlo fronteggiare casualmente durante il perseguimento dei rispettivi fini. Peccato che un plot poco originale e piatto non sorregga adeguatamente questo layout rinnovato. Nonostante il target prevalentemente infantile costituisca una facile attenuante, la sentimentalistica compensazione tra amore e lavoro o tra l’elemento sovrannaturale e quello terreno non può certo definirsi al passo col cambiamento; quello doveroso almeno.


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