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The Final Destination 3D

03/05/2010 10:00

Lorenzo Morganti

Recensione Film,

The Final Destination 3D

Quando sembrava che la saga fosse ormai conclusa, e a quasi dieci anni esatti dall'uscita nelle sale del fortunatissimo predecessore (26 settembre del 2000), ec

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Quando sembrava che la saga fosse ormai conclusa, e a quasi dieci anni esatti dall'uscita nelle sale del fortunatissimo predecessore (26 settembre del 2000), ecco arrivare l’ultimo Final Destination. Il regista David R. Ellis, che aveva già diretto il secondo episodio, viene richiamato in cabina di regia per dare vita a questo nuovo capitolo. La sostanziale (e unica) differenza rispetto ai tre film precedenti è apportata dalla decisione di girare in 3D, che se da una parte sembra diventata la moda del periodo, d'altra parte è un mezzo sicuro per aumentare gli incassi.


Durante le gare di una corsa automobilistica, Nick (Bobby Campo) ha una sorta di sogno premonitore. Quello che vede è un incidente che provocherà la morte di tutti gli spettatori. Decide quindi di avvisare gli amici e il maggior numero di persone possibile affinché possano scappare e mettersi in salvo dal pericolo imminente. La folla però non dà credito al giovane, e così facendo andrà incontro all’inevitabile destino. E presto anche i pochi superstiti scopriranno che al destin non si può sfuggire…


Quattro Final Destination e il plot narrativo non cambia: un evento tragico dal quale un gruppetto di persone riesce a salvarsi. Ma il fato che ormai ha stabilito il loro destino è fermamente deciso a portare a termine il suo disegno. Non c’è niente di nuovo o di interessante in questo ultimo capitolo se non vedere cosa si sono inventati questa volta per far morire i vari protagonisti; certo non è una motivazione così valida ed ‘elevata’ per recarsi al cinema, ma del resto, non ci si può aspettare niente di più da questo filone. L’unico vero elemento innovativo è la visione tridimensionale: questo aspetto rende se non altro diversa la minestra riscaldata che Ellis ci offre, anche grazie a inquadrature studiate appositamente per mettere in risalto l’effetto stereoscopico dell’immagine. Diversamente da altri film nei quali il 3D è stato aggiunto in post-produzione, il quarto Final Destination, infatti, è stato pensato e girato in questo formato, e la differenza chiaramente è netta.


Inutile dire che non si tratta di un capolavoro e neanche di un bel film: la recitazione è men che buona, i dialoghi di bassa lega; si assiste ad una morte dopo l’altra senza la minima profondità narrativa, se non il medesimo canovaccio che collega tutto il filone della saga. Probabilmente spegnendo il cervello, mettendo in stand-by qualsiasi tipologia di riflessione e senza avanzare troppe domande circa il costante susseguirsi di situazioni assurde, si arriva alla fine senza aver accusato troppa stanchezza. Certo non è abbastanza per risollevare le sorti di un film che paga l’eccessiva ripetitività e ciclicità della storia.


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