Una vecchia Lincoln del ’61 attraversa il deserto americano, sconfinata terra di nessuno, arida, inospitale e polverosa. A bordo, due coppie di ragazzi: i primi sono giovani di belle speranze, lui (David Duchovny) aspirante scrittore fresco di laurea in criminologia, lei (Michelle Forbes, futura Maryann di True Blood) con il sogno di diventare fotografa. L’idea è di intraprendere un viaggio per raggiungere i luoghi dove hanno vissuto e ucciso alcuni dei più efferati serial killer d’America e ricostruirne le gesta per trarne un best seller. Ad accompagnare i protagonisti per dividere le spese di viaggio, una coppia di innocui proletari: lui (un imbolsito Brad Pitt) è uno zoticone sempre attaccato alla bottiglia di birra, lei (Juliette Lewis) una bambina intrappolata nel corpo di un adulto. L’obiettivo: raggiungere la California, status-symbol di sogni e belle speranze. Purtroppo il viaggio diventerà più lungo e pericoloso del previsto e i protagonisti avranno l’occasione di studiare da vicino l’oggetto del loro libro. La regia dell’esordiente Dominic Sena (Codice: Swordfish) è altalenante: il film si apre con una buona presentazione dei personaggi grazie anche all’ottimo utilizzo di un montaggio incrociato che ci mostra le due coppie in parallelo dando allo spettatore svariati input. La narrazione procede così sino al plot-point in cui i quattro finalmente si incontrano e iniziano il viaggio. Per buona parte della sezione centrale la pellicola mantiene un livello di tensione discretamente alto, raggiungendo notevoli picchi in un paio di scene (Pitt e la Forbes soli nella camera di un motel mentre lei è mezza nuda; sempre la Forbes che fotografa di nascosto la coppia mentre fa sesso in macchina), ma proprio nel finale Sena commette un paio di passi falsi che rischiano di compromettere il buon lavoro fatto in precedenza. Da quando si scopre “il gioco di Early” il film eccede di un autocompiacimento fuori luogo, crogiolandosi troppo nelle scene di violenza (specialmente il combattimento finale) e scaturendo talvolta nel grottesco eccessivo e involontario (la home-invasion a casa dei vecchietti sembra quasi parafrasare Arancia meccanica in chiave campagnola e parodistica). Per quanto riguarda il cast artistico, una menzione d’onore va all’ottima fotografia di Bojan Bazelli (The Ring), che riesce a trasmettere appieno la sensazione di caldo asfissiante e le atmosfere polverose del deserto. La sceneggiatura di Tim Metcalfe (tra gli autori de La rivincita dei nerd) è solida e scorre bene, i personaggi sono ben definiti e riescono a non risultare banali. Kalifornia è un buon thriller anni ‘90 che, nonostante alcuni difetti, risulta godibile e riesce a far provare più di una stretta di tensione allo stomaco. I quattro protagonisti sono ottimi e più che convincenti nei propri ruoli, ma Pitt spicca su tutti, creando un personaggio solido e pieno di sfumature, dimostrando ancora una volta il proprio eclettismo di attore. Film consigliato, ma non imperdibile.