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Exit: una storia personale

18/10/2010 11:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

Exit: una storia personale

È spesso difficile inquadrare le opere prime prodotte nel nostro mercato, vuoi per una scarsità di mezzi economici che spesso le rende vittime delle loro ambizi

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È spesso difficile inquadrare le opere prime prodotte nel nostro mercato, vuoi per una scarsità di mezzi economici che spesso le rende vittime delle loro ambizioni, vuoi per una difficile collocazione in un mercato invaso da cinepanettoni e commedie scollacciate per un pubblico della domenica. Se a questo aggiungiamo la dozzinalità della distribuzione nostrana, si comprendono appieno le difficoltà da chi, aspirante regista, si lancia nella carriera dietro la macchina da presa con un carico di passione che va a cozzare con la realtà delle cose. Un input che possa risvegliare i giovani talenti emergenti del Belpaese è senza dubbio arrivato grazie alle nuove tecnologie, e non è difficile al giorno d'oggi realizzare pellicole interessanti con un budget abbordabile. È questo il caso dell'esordiente Massimiliano Amato: ha girato il film con una videocamera ad alta definizione che gli ha permesso di sviluppare anche delle sequenze impegnative dal punto di vista logistico e sperimentare sulla materia Cinema. Lo stesso Amato è anche sceneggiatore e produttore, in una sorta di progetto personale che, più di una ricerca autoriale, pare un'espressione vibrante e genuina motivata dal desiderio di voler raccontare un evento difficile e ricco di significati, ispirato da un incontro avuto nella vita reale.


Marco Serrano (Luca Guastini) soffre di problemi mentali che lo portano alla paranoia. È convinto di sentire voci che lo inducono al suicidio e di esser vittima di un complotto da parte del mondo intero. Neanche il centro dove si reca ogni giorno e che ospita gente reduce da dipendenze riesce a curare la sua psicosi. L'unico appiglio alla realtà sembra essere il fratello Davide (Nicola Garofalo), la cui vita però è messa inesorabilmente a soqquadro dalle sue continue richieste e stranezze. Marco decide così di optare per una scelta estrema: dopo aver letto su un giornale che in Olanda vi sono dei centri dove si pratica l'eutanasia assistita per problemi psichiatrici, decide di partire e abbandonare tutto.


Dolce e malinconico ritratto di una crisi, sia questa mentale nella testa della sfortunato protagonista, che familiare nel rapporto contrastato col fratello, ancorato ad una vita normale ma tenace e strenuo protettore di un'unità mai così solida. Exit - Una sfida personale non è un film semplice, è un'opera che va inquadrata nelle sue diverse sfaccettature che si incrociano e si diluiscono in un incipit narrativo apparentemente semplice ma in realtà ricco di spunti di riflessione. Il merito di Amato è - a differenza di suoi tanti colleghi - di non risultare sfacciatamente presuntuoso e di credersi un nuovo maestro rimasto sino ad ora nell'ombra: al contrario - e questo senza sminuirne le qualità - riesce a convincere proprio perché si limita all'essenziale. La raffinatezza della messa in scena, che gioca nel sottile bilico tra il cinema verità e guizzi più autoriali, riesce a rendere le due città protagoniste della vicenda, Roma e Amsterdam, compagne pulsanti dei personaggi: la prima fa da sfondo alle assolate giornate di confusione e solitudine di Marco, la seconda, luogo quasi magico, risulta Anfitrione involontario ma benevolente di un abbraccio, di un ritorno sospirato e forse chiarificatore per il futuro. L'acqua infine, nella sua incarnazione più poetica, rappresenta una sorta di catarsi interiore, ripulita dai demoni verso un domani difficile ma da affrontare con la certezza di non essere soli. Per nulla accessoria, ma anzi preponderante nel suo co-protagonismo, la presenza di Marcella Braga nei panni di Nina, la ragazza di Davide: la sua figura, agente estraneo di questo profondo legame familiare, serve a collegare i sentimenti e le passioni a un mondo reale fatto di carne, pensieri e amore.


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