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Quei bravi ragazzi

03/11/2010 11:00

Danilo Cristaldi

Recensione Film,

Quei bravi ragazzi

Il film narra la vicenda di Henry Hill (Ray Liotta), italo-irlandese cresciuto a Brooklyn che sogna di diventare un gangster...

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Il film narra la vicenda di Henry Hill (Ray Liotta), italo-irlandese cresciuto a Brooklyn che sogna di diventare un gangster. Il sogno diventa realtà, ma Henry sarà destinato a perdere tutto e ad abbandonare la vita dei bravi ragazzi.


Utilizzando un puntiglioso stile documentaristico, Scorsese racconta la malavita organizzata con impassibile occhio da antropologo, dirigendo una ventina di personaggi uno più memorabile dell’altro. È un vero e proprio trattato sullo stile di vita dei goodfellas: sul loro modo di parlare, vestire, cucinare, tradire e uccidere. Non si può negare, in questo capolavoro del cinema gangsteristico, la potenza filmica di molte sequenze, l’energia e la fluidità delle immagini, gli interpreti eccellenti (con un Joe Pesci sopra tutti, e che infatti meritò un Oscar), la secca costruzione narrativa. Se si volesse fare una classifica dei migliori film di genere gangster della storia del cinema, Quei bravi ragazzi figurerebbe tra i primi posti. Alla perfetta orchestrazione delle parti, contribuiscono, e non poco, la fotografia di Michael Ballaus e lo straordinario montaggio di Thelma Schoonmaker, notevoli collaboratori del regista. Stupisce come i 146 minuti del film possano apparire così veloci; è il merito di un film abbastanza lungo, ma mai prolisso. La sua energia deriva principalmente dal fatto che tutto è importante nel film, dalla serie di omicidi eseguiti a sangue freddo ai dettagli riguardanti la preparazione di un sugo siciliano.


Chi lo definisce un film senza profondità morale non ha intuito che è proprio la caratteristica predominante; il regista si esenta da qualsiasi giudizio critico sui personaggi e la loro moralità. Mostra soltanto, non dimostra. La violenza, in questo universo di piccoli gangster senza gloria, è normale, fa parte del quotidiano; Scorsese la mostra senza alcun compiacimento. Il racconto è affidato in gran parte alla voce narrante di Henry, e assume, sin dai primi minuti, la traiettoria di una fucilata. La scena finale in cui si vede Joe Pesci sparare alla telecamera è ripresa da La grande rapina al treno di E.S. Porter del 1903.


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