La nuova docu-serie crime di Netflix è dedicata allo Yorkshire Ripper, un serial killer che ha ucciso 13 donne tra 1975 e 1980
Lo sappiamo già: Netflix con i documentari non la batte nessuno. Se parliamo di documentari crime non ha confronti. The Ripper conferma questa tendenza: è il giusto mix di intrattenimento, archivio e interviste ai sopravvissuti; soprattutto, vanta un’attenzione al contesto che ritroviamo molto raramente in prodotti di questo tipo. Ma cominciamo per ordine.
Di che cosa parla Lo Squartatore
Lo Yorkshire Ripper è un serial killer che ha ucciso almeno 13 donne e cercato di assassinarne 7 tra 1975 e 1980, dando vita a una delle più celebri e confuse cacce all’uomo della storia recente. La sua prima vittima, quando ancora serial killer non era, è stata Wilma McCann, madre di quattro figli e uccisa il 30 ottobre 1975.
Già da come viene trattato l’omicidio McCann, capiamo come la polizia del West Yorkshire, che prende in mano il caso, non era per nulla all’altezza dell’avvenimento e di quello che sarebbe successo in seguito.
All’omicidio non viene dato il giusto peso: la McCann è subito definita di facili costumi e il caso relegato a una notizia da fish and chips; ovvero quelle cronache che rimangono due giorni sui giornali e poi vengono utilizzati come cartocci per le pietanze fritte.
Misoginia e maschilismo nel caso dello Yorkshire Ripper
Fin dal principio, il dipartimento di polizia - completamente al maschile - pecca di victim blaming e di pregiudizio. Il killer, che intanto era diventato un serial killer, viene denominato dai media The Ripper, cioè lo Squartatore, nome ispirato al celebre assassino britannico: all'omicida dello Yorkshire, infatti, subito etichettato come omicida di prostitute, viene sbrigativamente attribuita una somiglianza di metodo con il famoso precedessore. Ma la storia cambia quando la nuova vittima è una ragazza di 16 anni, con nulla che la possa collegare al mondo della malavita. Quindi, se prima “solo” le prostitute erano in pericolo, ora invece tutte le ragazze lo sono.
Ciò porta a una politica di terrore verso la popolazione femminile. Le donne non potevano più uscire di casa dopo il tramonto o lo potevano fare solo con un accompagnatore di sesso maschile. Oltre a trovarsi nel mirino di un serial killer, che la polizia non è in grado di arrestare, le ragazze dello Yorkshire sono messe nella condizione di doversi difendersi anche da predatori di ogni altro tipo, che fingono di volerle proteggere.
La cosa, diciamo, non funziona: le donne decidono allora di scendere in piazza, tutte insieme, dopo il coprifuoco per manifestare contro una decisione ingiusta e illogica. Perchè la popolazione femminile doveva essere costretta a pagare l’incompetenza di chi invece avrebbe dovuto fare meglio il proprio lavoro?
Il caso The Ripper sulla società
La storia della caccia a The Ripper coinvolge in maniera enorme la società dell’epoca. In un’Inghilterra già bersagliata dalla politica Margaret Thatcher, dove la crisi e il degrado dato dalla crescente disoccupazione hanno la meglio, la responsabilità di acciuffare il killer si riversa sulla cittadinanza.
Alla popolazione viene continuamente richiesto di aiutare la polizia: vengono affissi manifesti con numeri di telefono da chiamare e audio dell’assassino da ascoltare, in modo tale da poter riconoscere il colpevole. Quando finalmente il suo nome viene a galla, accade solo per un errore di percorso del killer. Non solo era già un personaggio noto alla polizia, ma era stato scartato tra i principali sospettati, nonostante corrispondesse all’identikit dei sopravvissuti.
The Ripper, quindi, è una serie dedicata non solo al serial killer che ha sconvolto per 5 anni le vite degli inglesi, ma il racconto di un periodo storico, di un momento importante e difficile del Regno Unito sul cominciare degli anni ‘80. Una docuserie ben fatta che ci ricorda come l’incompetenza, mista ai pregiudizi, sia uno dei pericoli peggiori della nostra società. E di come le conseguenze possano essere devastanti.