«Il cinema di genere italiano è morto».
«In Italia si fanno solo commedie e film di youtuber».
«In Italia nessuno vuole avere paura. Entrate nel cinema e dite: “Che schifo! Aiuto!” Poi però quando si accende la televisione ci sono solo morti».
Provate a negare di avere sentito almeno una volta pronunciare da qualche cinefilo almeno una di queste frasi.
O, magari, siete stati/e proprio voi ad averlo pensato. E sempre voi, quando avete capito che A Classic Horror Story era un film made in Italy, avete storto il naso o provato una punta di fastidio. Ok adesso che avete ammesso tutto ciò, ammettiamo anche che A Classic Horror Story è una figata.
Il film inizia mantenendo la sua promessa, con il classico incipit da film horror, dove il tipico gruppo di vittime predestinate si trova ad affrontare un viaggio in camper.
I cinque sono sconosciuti che, per contenere le spese, hanno scelto il car pooling: c’è la studentessa con dei traumi sopiti, un medico scontroso, una coppia di fidanzatini (lei scappata di casa, lui inglese coatto trapiantato negli USA); c’è il proprietario del camper, uno studente di cinema e aspirante regista che è un concentrato di cliché nerd. Anziché un deserto pieno di cannibali mutanti o un bosco infestato da strane maledizioni, i nostri devono percorrere le poco battute strade dell’Aspromonte calabrese.
Notte. Un incidente. I protagonisti perdono conoscenza, come da tradizione delle più classiche storie horror, e si risvegliano in una radura dove c’è una bizzarra casa dalle geometrie appuntite e i segni di uno strano culto (ci sono rimandi a feticci di legno e un velo di paganesimo) che idolatra Osso, Mastrosso e Carcagnosso, che altro non sono che i tre padri fondatori di Cosa Nostra, camorra, e ‘ndrangheta.
Il resto del canovaccio, come da classic horror story, potete immaginarlo anche da soli, ma... a un certo punto il “ma” arriva a scompigliare le carte, gettando nuova luce sugli eventi e sui personaggi.
Uno Shyamalan twist, anzi: un De Feo twist.
Ed è qui che inizia la zona SPOILER. A Classic Horror Story si trasforma, abbandonando le sue vesti classiche, in qualcosa di più moderno; in una seconda parte che, come molti hanno affermato, grida a squarciagola Ari Aster e Midsommar. Dove la mattatrice assoluta è Cristina Donadio (la Scianel di Gomorra – La serie) e il fulcro è una scena a tavola, sotto il sole cocente della Calabria, con in sottofondo una fisarmonica e una canzone in dialetto. Che rimanda sì ad Aster, ma strilla fortissimo anche Non aprite quella porta e richiama quell’immaginario (ancora una volta) da horror classico.
A Classic Horror Story parte da queste suggestioni per declinare il tutto in chiave squisitamente italiana, abbracciando quel folklore popolare di cui siamo pregni e che così poco il nostro cinema ha sfruttato in passato.
Per assurdo, è proprio Netflix che negli ultimi anni sta spingendo di più in questa direzione, sfornando prodotti come Il legame (un film con dei limiti, ma dalla storia affascinante) e Curon (un mezzo fiasco, ma giusta l’intuizione)
Alla seconda prova da regista, Roberto De Feo lavora a fianco di Paolo Strippoli (in sceneggiatura con Lucio Besana, Milo Tissone e David Bellini) e dà segno di essere maturato non poco dal precedente The Nest sia come impostazione della storia, sia nella gestione della tensione e, soprattutto, dei colpi di scena. Sono almeno due i ribaltamenti di prospettiva dentro A Classic Horror Story, nessuno dei quali telefonato o prevedibile, nemmeno per lo spettatore più avvezzo. Quindi bene così.
Genere: horror
Paese, anno: Italia, 2021
Regia: Roberto De Feo, Paolo Strippoli
Sceneggiatura: Lucio Besana, Roberto De Feo, Paolo Strippoli, Milo Tissone, David Bellini
Fotografia: Emanuele Pasquet
Montaggio: Federico Palmerini
Interpreti: Matilda Lutz, Francesco Russo, Peppino Mazzotta, Yuliia Sobol, Will Merrick, Alida Calabria, Cristina Donadio
Produzione: Colorado Film
Distribuzione: Netflix
Durata: 95'
Data di uscita: 14 luglio 2021