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Borotalco (1982), la recensione del film cult di Carlo Verdone: un fotoromanzo pop

22/01/2022 12:19

Simone Rossi

Recensione Film, Film Cult, Film Commedia, Film Italia, Christian De Sica, Carlo Verdone, Eleonora Giorgi, Mario Brega, Angelo Infanti,

Borotalco (1982), la recensione del film cult di Carlo Verdone: un fotoromanzo pop

Il fascino della mitomania non tramonta mai. Borotalco compie quarant'anni e quel nome, Manuel Fantoni, parafrasando Angelo Infanti, «appoggia ancora bene»

Il fascino della mitomania non tramonta mai. Borotalco compie quarant'anni e quel nome, Manuel Fantoni, parafrasando Angelo Infanti, «appoggia ancora bene» e resta il simbolo di una fuga dalla realtà che al principio degli anni Ottanta passava per la mitologia hollywodiana e la perfezione plastica delle sue star che sapevano innanzitutto far valere il proprio potere seduttivo e una sessualità virile priva di ambiguità. Questo fino a Manuel Fantoni/Sergio Benvenuti, appunto, che smonta le certezze e in una epica discussione nel salotto di casa di Nadia arriva a dichiarare che il Signore del West, John Wayne, era senza ombra di dubbio dell'altra sponda.

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Carlo Verdone ha sempre stigmatizzato il ruolo centrale di Borotalco nella sua carriera di regista: il più importante e il più faticoso da scrivere.

 

Sei soggetti presi e buttati nel cestino, un anno per mettere in piedi la sceneggiatura con Enrico Oldoini, la fiducia del solo Mario Cecchi Gori quando tra gli altri produttori si era sparsa la voce che a forza di personaggi (sei per Bianco, rosso e Verdone, tre per Un sacco bello) parrucche, occhiali e tic nervosi, forse il ragazzo aveva finito per bruciarsi.

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Borotalco è in effetti il primo film di Verdone con una storia unica e la sua faccia pulita a mettersi in gioco. Ma come in un percorso di disintossicazione non rinuncia completamente al travestitismo: la voce cavernosa e i capelli pettinati con la scriminatura segnano ancora l'incarnazione di un altro da sé, una dualità racchiusa però in un'unica inquadratura, un dentro/fuori tra opposte personalità che si parlano allo specchio in cerca del tono giusto per raccontare un'inaudita esagerazione: «Un bel giorno, senza dire niente a nessuno, me ne andai a Genova. Mi imbarcai su un cargo battente bandiera liberiana».

Borotalco, a rivederlo oggi, mostra una levità ineguagliabile, sorta di fotoromanzo pop (Eleonora Giorgi e le sue mise mozzafiato tra gonne corte, magliette ampie e generose, chilometrici collant blu elettrico e rosso fuoco) di un decennio appena iniziato, ma già carico di un ardore giovanile svagato e disimpegnato, fiducioso che si possa “ingranare” nella vita anche vendendo abbonamenti porta a porta per I colossi della Musica, perché, come dice Marcello (Christian De Sica) coinquilino ciociaro di Sergio col pallino del musical, le vie di mezzo non esistono: «Mi dò sei mesi di tempo: o sfondo o m'abbrucio».

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E tra Mozart e Beethoven, la musica che è al centro è quella di Lucio Dalla, le sue canzoni: la "Dallamania", che in quegli anni raggiunge livelli parossistici e segue una progressione che, come ne La settima luna, parla già all'uomo di domani, ai giovani, a quelli che riempono gli stadi e i palazzetti.

Tra di loro c'è Nadia, una Eleonora Giorgi che dopo gli anni Settanta da sex-symbol stava trovando nei toni della commedia (Mani di velluto, Mia moglie è una strega) una nuova esuberanza e lo spazio per coltivare una innata tendenza all'invadenza: nei duetti con Sergio è sempre lei quella che interrompe, che devia il discorso, che pur inebriata dai racconti di Manuel ne manipola gli – apparenti – punti di forza dettando tempi e modi della loro relazione e del loro stare insieme.

 

Perché Borotalco non sarà polvere da sniffare, ma certamente affonda il proprio senso in una idea di realtà alternativa che ha in odio tutto quello che è quotidiano. Che nega con forza la regola che vede in un “alimentari ben rifornito” (quello di papà Augusto, un incoercibile Mario Brega) un futuro stabile e impossibile da rifiutare.

Il cinema, la sua evocazione, al netto del disincanto che fa di Manuel l'animatore di feste per star incapaci di preservare un contegno degno del loro nome (leggi Burt Lancaster: «L'altra sera m'ha combinato un macello sulla moquette, m'ha vomitato, l'ho dovuto prendere e cacciare via») è lo sfondo sul quale Verdone fa muovere i suoi personaggi, con un distacco così profondo che un incontro è possibile solo attraverso il falso, la menzogna, l'esagerazione (questa stessa cifra si ripresenterà in due dei tre film successivi del regista romano, Acqua e sapone, Troppo forte).

 

In fondo Borotalco è una storia d'amore che può essere tale solo dietro una maschera: Sergio piace a Nadia perché è Manuel, e Sergio desidera essere Manuel oltre ogni fraintendimento per piacere a Nadia. Il tutto entro una comfort zone che è il superattico con Moana Pozzi nuda, sirena nella piscina a vetri, luogo dell'anima di un film che ha bisogno di una messinscena posta a distanza siderale dalla strada e dal suo inesorabile tran-tran. 

 

Non è un caso, perciò, che una volta evaporata la bianca nuvoletta di borotalco, con Sergio e Nadia ormai incastrati in matrimoni preconfezionati, alla strada si ritorni, in un finale che si apre con l'indicazione della via (Lampridio Cerva) verso la quale il venditore Sergio sta andando a piazzare il suo prossimo contratto. E qui, si apre un mondo. 

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L'incontro finale nella casa di Nadia all'interno del consorzio di Fonte Meravigliosa, con le sue scale esterne a spirale, segna un nuovo livello di sospensione della realtà, stavolta però partendo da un assunto opposto. Quello a cui stiamo assistendo è l'incontro tra due persone consapevoli del proprio – reciproco - ruolo, ma qualcuno ha fatto il modo che tutto fosse combinato, una messinscena.

Nadia ha chiamato Sergio per un appuntamento, si è finta un'altra, ha scelto la musica diegetica che riempe la stanza (la canzone che aveva scritto per Dalla è diventata un successo), probabilmente ha voluto che la mdp fosse dove la troviamo, in una posizione wellesiana, a inchiodare i due seduti ai margini dell'inquadratura. Lei, le gambe nude elegantemente accavallate; lui impacciato a tormentarsi la cravatta. Certamente il finale più eroticamente carico dell'intera filmografia di Verdone: tutto spinge verso il contatto che per l'intero film ci è stato negato.

 

Borotalco si chiude nel trasporto di un bacio che strozza in gola una risposta che aspettiamo da quarant'anni. Ma Manuel e Dustin Hoffman avranno fatto pace dopo quella mezza litigata? 


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Genere: commedia

Titolo originale: Borotalco

Paese, anno: Italia, 1982

Regia: Carlo Verdone

Sceneggiatura: Carlo Verdone, Enrico Oldoini

Fotografia: Ennio Guarnieri

Montaggio: Antonio Siciliano

Interpreti: Angelo Infanti, Carlo Verdone, Christian De Sica, Eleonora Giorgi, Enrico Papa, Isa Gallinelli, Mario Brega, Moana Pozzi, Roberta Manfredi, Vittorio Zarfati

Colonna sonora:  Lucio Dalla, Fabio Liberatori, Stadio

Produzione: Cecchi Gori Pictures

Durata: 97'

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