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Django

18/01/2013 11:00

Martina Calcabrini

Recensione Film, Western, django,

Django

Nel 1966 Sergio Corbucci - regista italiano famoso soprattutto per il fantascientifico Baracca e burattini - dirige Django, avvincente western all'italiana che

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Nel 1966 Sergio Corbucci - regista italiano famoso soprattutto per il fantascientifico Baracca e burattini - dirige Django, avvincente western all'italiana che trae la propria linfa vitale dal retaggio culturale di quegli anni e dal carisma del suo protagonista, l’allora semi-sconosciuto Franco Nero. Personaggio che troveremo drasticamente revisionato in Django Unchained di Quentin Tarantino, personale omaggio al genere dello spaghetti western in chiave exploitation.


In un anonimo paesino del sud, la banda di messicani capitanati da Hugo Rodriguez (José Bódalo) e quella dei razzisti seguaci di Jackson (Eduardo Fajardo), lottano da sempre per la supremazia della contea. Dopo anni di violenti scontri armati, lo straniero Django (Franco Nero), reduce di guerra, arriva sul posto per vendicare l’omicidio della moglie.


Passi lenti, stanchi, affaticati. Una scia sulla sabbia che diviene un solco nel fango dei territori del sud di fine ottocento. Un uomo deluso dalla vita e assetato di vendetta che torna dai cimiteri più reconditi della terra per vendicare la morte della donna che ama. Bastano pochi minuti a Sergio Corbucci per illustrare brevemente lo scenario devastato in cui si consumano le monotone esistenze di una sperduta contea, sospesa sulla frontiera fra Messico e Stati Uniti. Terre tormentate, fiochi valori socio-culturali e locali straripanti di alcool, fumo e facili costumi, sono i tratti distintivi di una società sull’orlo della rovina. Le donne passano le giornate a cercare di accalappiarsi un uomo socialmente agiato e politicamente vicino ai grandi boss della zona. Gli uomini, d'altra parte, semplicemente si barcamenano tra una zuffa e l’altra. Django, straniero in terra straniera, un Gringo selvaggio e ribelle, è guardato con sospetto, schermito e preso di mira persino dalle autorità del luogo. L’uomo non è uno sprovveduto: sa perfettamente come battere l’avversario e, soprattutto, sa utilizzare l’astuzia meglio ancora della forza. La narrazione segue vorticosamente le disavventure del protagonista, rallentando, laddove necessario, per concentrarsi sui suoi traballanti stati d’animo, sulle ansie e sulle sue paure di uomo comune. Sergio e Bruno Corbucci costruiscono un robusto impianto narrativo su cui un taciturno e dissenziente Franco Nero, accompagnato dalle note di Luis Enríquez Bacalov, si diverte a costruire impalcature via via più solide che convertono gli stereotipi in soluzioni originali.


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