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Django 2 - Il grande ritorno

24/02/2013 12:00

Martina Calcabrini

Recensione Film, Western, django,

Django 2 - Il grande ritorno

Django (Franco Nero), divenuto Padre Ignacio, ha lasciato la sua vita precedente per ritirarsi nell’isolato convento di Santo Domingo...

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Django (Franco Nero), divenuto Padre Ignacio, ha lasciato la sua vita precedente per ritirarsi nell’isolato convento di Santo Domingo. Un giorno, improvvisamente, riceve la notizia che la sua giovane figlia Marisol è stata rapita dal principe Orlowsky (Christopher Connelly) detto “il diavolo”, per essere venduta a un bordello. Django, pur non abbandonando l’abito da monaco, impugna nuovamente la pistola e si mette sulle tracce del criminale. Prima di raggiungere il rivale, però, viene catturato, torturato e sfruttato come schiavo. Riuscito a liberarsi, l’uomo ritrova la sua famosa compagna d’armi e inizia a vendicarsi.


Dopo il grande successo di Django, Nello Rossati, regista dell’insolita commedia Io zombo, tu zombi, lei zomba, assumendo lo pseudonimo di Ted Archer, realizza Django 2 – Il grande ritorno, uno spaghetti-western grossolano e mediocre che, cavalcando l’onda del successo della pellicola originale, abusa diffusamente del carisma di Franco Nero. Folate di vento, masse di nebbia, cavalli impazziti e macabre croci cimiteriali, preannunciano lo scenario apocalittico della pellicola. Accentuando le caratteristiche guerriere e irascibili del personaggio, gli sceneggiatori Franco Reggiani e lo stesso Rossati, tramutano il protagonista in una sorta di vendicatore rancoroso e iracondo in un’esotica tenuta da santone. Più che uno spaghetti-western, Django 2 è una pellicola sulla guerra, piatta e monocorde che usufruisce di dialoghi scadenti e di frasi fatte per accaparrarsi il favore del pubblico. Nemmeno la vigorosa performance di Franco Nero, spalleggiato dall’ottimo Donald Pleasance – lo psicologo dell’Halloween di Carpenter – riesce a rialzare le sorti di un ritorno mediocre e sostanzialmente insipido.


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