Walt Disney è uno dei geni più familiari della storia del Novecento, un creativo trasversale che ha letteralmente invaso le vite di tutti noi fin da bambini. Basta anche un censimento fatto al volo alla bell’e meglio, magari per alzata di mano, per rivelare che non pochi hanno imparato a leggere proprio sulle pagine di Topolino, per dare un senso a quelle immagini e a quei personaggi ancora senza nome e senza verbo. Che i primi film visti, spesso, sono proprio i suoi. La portata di un artista così iconico e ingerente è senza dubbio non facile da trascrivere, per non parlare della restituzione di uno spirito incantato sulle cose e sul mondo pressoché unico e irripetibile. Il documentario di Marco Spagnoli Walt Disney e l’Italia – Una storia d’amore è conscio di tale difficoltà e infatti preferisce affidarsi alla gioiosità semplice e lineare di una letterina d’amore infarcita di testimonianze celebri. D’altronde, se la figura di Disney è stata finora praticamente evitata dal grande schermo, che ne ha sempre rifiutato il calco in carne e ossa, un motivo ci sarà . Forse troppo grande, Disney, nell’immaginario collettivo. Così multiforme, la sua pervasività nell’immaginazione di tutti, da renderlo di fatto irraccontabile. Ci ha provato in maniera parzialmente indiretta l’imminente Saving Mr.Banks, che uscirà in sala in Italia tra due week-end, a sfatare il tabù. Il creatore di Topolino avrà il volto e il corpo di Tom Hanks, scelta che di sicuro ha una sua logica: quale attore meglio di lui sarebbe in grado di rappresentare il lato favolistico e irrimediabilmente fanciullo di Hollywood, quello più popolare e rassicurante? Probabilmente nessuno. In attesa di valutare come e quanto il film di John Lee Hancock (con Emma Thompson nei panni dell’autrice di Mary Poppins) si sarà addentrato nell’iconografia del guru dell’animazione e fino a che punto ne avrà scandagliato i lati più interni e nascosti, il film di Spagnoli, che fin dal titolo tradisce un’accorata destinazione d’uso tutta italiana, può essere un apripista sufficientemente degno. Al di là di qualche soluzione formale un po’ pigra ed imitativa (le didascalie da fiaba con la voce di Serena Autieri) e dell’inerzialità esclusivamente divistica di alcune testimonianze, l’obiettivo prefissato e dichiarato è quello di sondare il rapporto di Disney con l’Italia. Vocazione circoscritta, dunque più realizzabile e abbordabile. Il film non è un documento biografico, piuttosto una ricognizione sugli effetti, nel bagaglio culturale di un paese, di un regista e un forgiatore di sogni senza tempo che ha allungato l’infanzia di tutti e per tutti. Un viaggio negli archetipi di uno stupore condiviso, un giro panoramico intorno a un carosello circense che con le tipizzazioni e le contraddizioni dell’essere italiano ha molto più in comune di quel che si potrebbe pensare, al di là delle tanti mani di disegnatori nostrani che i contorni grafici di Topolino, Paperino & co. li hanno definiti nel concreto, forti di un’aderenza manuale all’originale matrice disneyana guidata da fortissima competenza. Di grande pregnanza e suadentissimo fascino, com’è facile immaginare, la testimonianza d’epoca di Federico Fellini intervistato da Vincenzo Mollica, non a caso la più trasognata e intimamente disneyana. Il regista racconta di quando, in occasione della trasferta hollywoodiana per ritirare l’Oscar per La strada, fu celebrato da Disney in persona, che gli concesse un ingresso privilegiato nel suo parco giochi truccato da mondo reale (con tanto di omaggi ad hoc per l’occasione, a Gelsomina e al tema musicale del film). Uno spazio parallelo solo sulla carta, implausibile solo per gli adulti, in cui immergersi totalmente sospendendo l’incredulità . Ecco che allora lui, Giulietta Masina e Roman Polanski (era anche l’anno de Il coltello nell’acqua) si nascondono sotto un tavolo mentre Disney fronteggia un attacco dei pellerossa con dei fucili immaginari. Potere alla fantasia e, stringi stringi, come si diceva una volta nelle rèclame delle vhs proprio dei film Disney o altrove, magia del cinema.