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Turner

29/01/2015 12:00

Francesco Restuccia

Recensione Film,

Turner

Il regista inglese Mike Leigh racconta gli ultimi venticinque anni di vita del grande pittore romantico William Turner...

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Il regista inglese Mike Leigh racconta gli ultimi venticinque anni di vita del grande pittore romantico William Turner. “Il pittore della luce”, già cinquantenne e sull'onda del successo, si dedica al suo mestiere con passione ma appare profondamente distaccato dal mondo che lo circonda. Ha due figlie che si scorda di avere, una moglie che non pare aver mai amato, una fedele domestica malata; è deluso da chi non capisce le sue opere ma pare non stimare chi le apprezza. Come nella sua pittura, Turner cerca di andare oltre le apparenze e di cogliere una realtà fatta di luci e colori “prendendo congedo dalla forma”.


A prima vista Turner potrebbe sembrare uno di quei film biografici il cui unico scopo è rappresentare un’epoca e una figura storica nel modo più fedele possibile. Ma nonostante la precisione dei costumi, delle dinamiche sociali dell’Inghilterra vittoriana e persino del linguaggio utilizzato (è un peccato che nel doppiaggio, pur ben fatto, si perda la differenza di accenti tra i personaggi provenienti da regioni e classi diverse), la pellicola di Leigh non è solo un'opera didattica. La prima domanda che ci si pone è: perché fare un film sulla vita di William Turner? Ampiamente riconosciuto in vita e lontano dalla povertà che affliggeva molti artisti, il pittore inglese non ha vissuto grandi avventure e nessun evento gli ha stravolto l’esistenza più di quanto possa accadere a ognuno di noi. Qui sta la grande scommessa di Leigh: rendere degna di essere raccontata una vita “irrilevante”, permettendo al valore dei piccoli momenti di emergere nei dettagli quotidiani. In questo Mike Leigh si rivela un maestro e il suo metodo di lavoro offre grandi frutti. Semplici sguardi e sorrisi accennati con una ragazza che suona il piano (e che il protagonista non vedrà più) prendono consistenza al punto da rendere ogni singola comparsa e qualsiasi particolare determinante per lo svolgimento della trama. Il regista lavora per mesi con gli attori, facendoli improvvisare su una sceneggiatura che spesso conoscono solo man mano che si affrontano le nuove scene, accoglie i loro contributi e li invita a immergersi quanto possibile nel personaggio. Timothy Spall (conosciuto dal grande pubblico per la parte di Peter Minus in Harry Potter, ma già presente di altre pellicole dirette da Leigh) si è meritato il premio alla Miglior Interpretazione Maschile a Cannes: il brontolio rantolante, che accompagna il protagonista per tutto il film, è l’elemento che più caratterizza il suo personaggio. Leigh rappresenta il suo Turner come un novello Ulisse, che si fa legare all'albero di una nave per poter ascoltare il canto fatale delle sirene, ossia vivere una tempesta per riuscire a rappresentarla. Questo accostamento all’eroe greco non è insignificante: Turner è Ulisse perché vaga senza voler davvero tornare a casa e perché non c’è niente che riesca a dar pace alla sua curiosità. Turner è un film sulla ricerca di un senso.


Colori, musica e fotografia accompagnano la pellicola non solo come componenti centrali, ma anche come veri e propri soggetti: la colonna sonora minimalista di Gary Yershom è intervallata dalle melodie di una pianista, di una cantante e di un violinista incontrati in diversi momenti da Turner, quasi a ricordare che la musica - come la sua pittura colorista - è un gioco di frequenze, fatta di ritmo e variazioni d’intensità. La fotografia di Dick Pope, premiato a Cannes e candidato all’Oscar, è forse ciò che più colpisce sin dalla prima inquadratura. Il cielo rosa sulla verde campagna, talmente vibrante da sembrare un quadro, sembra ricostruire la luce di alcuni dei dipinti più belli di Turner. Le sequenze cinematografiche dialogano con le tele: il dettaglio di un dipinto diventa l’inquadratura di una scogliera, invitando l'occhio dello spettatore a un gioco visivo che, alla lunga, risulta persino fastidioso e troppo estetizzante rispetto al tono delicati dell'intero film. In questo dualismo pittura-fotografia, la riflessione sull'arte trova giustificazione. Nella sequenza in cui il vecchio Turner fa visita a un fotografo che ha portato la nuova invenzione dagli Stati Uniti, il dialogo - semplice e a tratti dolce - mostra un pittore diffidente, che percepisce la grandezza dello strumento ma intuisce la fine del figurativo. Sarà forse a causa di questo piccolo cortocircuito, che già guarda all’avvento della fotografia e quindi al cinema, che si finisce per immaginare la vera ragione per cui Leigh abbia deciso di fare un film su William Turner: nell'artista romantico il regista trova un alter-ego, un pittore cinematografico che non sopportava le ipocrisie della propria società.


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