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La dolce arte di esistere

16/04/2015 11:00

Francesco Restuccia

Recensione Film,

La dolce arte di esistere

A chi non è mai capitato, dopo un grande imbarazzo, di voler scomparire...

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A chi non è mai capitato, dopo un grande imbarazzo, di voler scomparire. E chi non si è mai sentito, magari da piccolo, talmente superfluo da credere di essere invisibile. Immaginiamo, con il regista Pietro Reggiani, al suo secondo film, che quest’invisibilità sia reale: un’invisibilità psicosomatica. La voce narrante, a metà tra Il favoloso mondo di Amélie e un documentario scientifico, accompagna lo spettatore dall’inizio alla fine raccontando le vite di Roberta (Francesca Golia) e Massimo (Pierpaolo Spollon), sin dalla loro infanzia.


Le prime sequenze del film, ironiche e divertenti, sono le più forti. Una tenera analisi delle responsabilità dei genitori nella formazione della personalità dei figli: se, infatti, quelli di Roberta la trascurano (con l’atteggiamento pseudo-benevolo di chi vuole lasciare libertà e indipendenza), tanto da farle nascere il bisogno di sentirsi sempre gli occhi di qualcuno addosso, per non scomparire; quelli di Massimo lo assillano, perché affettuosamente si preoccupano per lui, e gli mettono pressione al punto di farlo "scomparire" quando si sente al centro dell’attenzione. I due protagonisti vivono questi problemi lungo le varie fasi della loro crescita - soffrendo soprattutto per quanto riguarda la loro vita sentimentale - finché a un certo punto s’incontrano e trovano nell’altro qualcuno che li possa capire. Il film potrebbe finire qui. Viene invece tirato avanti per un’altra ora. I due, infatti, pur capendosi, non riescono a superare il loro problema (lui scompare se lei gli dà attenzioni, lei scompare se lui scompare), si allontanano e affrontano varie traversie.


Si ha l’impressione che la sceneggiatura voglia toccare tutti i temi del contemporaneo disagio giovanile, dal precariato, alle relazioni via chat, passando per i reality show. In questo tentativo, il film s’indebolisce, il ritmo si rallenta e i temi caldi vengono presentati senza una vera unità drammatica. Soprattutto per argomenti come i social network, il reality show, che caldi non lo sono più da almeno cinque anni. Il film è girato in modo molto semplice, quasi amatoriale, ma comunque godibile. La recitazione è curata, soprattutto nei personaggi secondari: sono proprio i caratteristi, infatti, nelle scene più grottesche, a dare vivacità al film. Resta però il fatto che La dolce arte di esistere è strutturato come un corto o un medio-metraggio, restando con ironica leggerezza sulla superficie delle cose; così, per arrivare a coprire l’ora e mezza, è costretto a sfiorare, senza raggiungere mai, troppi temi. Inoltre, un torto alla pellicola è stato dato dalla sua uscita tardiva, o almeno dopo l’ultimo film di Gabriele Salvatores Il Ragazzo Invisibile: una sfortunata competizione per il film di Reggiani, dove la maggioranza dei temi affrontati - a parte quello senza tempo della crescita e del rapporto con i genitori - risultano inattuali. Un consiglio: guardate i primi 20 minuti di questo film, d’ironica poeticità, e rimarrete con un buon ricordo.


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