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Fighting

30/05/2009 11:00

Luca Provenzano

Recensione Film,

Fighting

Shawn MacArthur (Channing Tatum), giovane proveniente da una piccola cittadina di provincia, sbarca a New York senza un soldo in tasca, cercando di tirare avant

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Shawn MacArthur (Channing Tatum), giovane proveniente da una piccola cittadina di provincia, sbarca a New York senza un soldo in tasca, cercando di tirare avanti nella Grande Mela vendendo merce contraffatta e libri mai scritti agli angoli delle strade. Improvvisamente, una vivace discussione con un ladruncolo di strada lo mette in contatto con il truffatore Harvey Boarden (Terrence Howard), che vede immediatamente in lui un ottimo talento per gli incontri di lotta clandestini, promettendo al ragazzo facili e cospicui guadagni. Si forma così una strana alleanza che condurrà l’ingenuo Shawn negli angoli più bui di questa multiforme città, dove la violenza non solo si manifesta nell’emarginazione e nella povertà ma sì cela infida anche dietro l’opulenza e la voglia di brivido dell’alta borghesia newyorkese, capace di giustificare col denaro anche le più efferate brutalità.


L’archetipo narrativo sostenente Fighting è quanto di più classico ci possa essere. La parabola tracciata qui dall’impassibile Shawn è stata già ampiamente narrata in un’infinita moltitudine di pellicole, e il film diretto da Dito Montiel (premio alla regia al Sundance Film Festival con Guida per riconoscere i tuoi santi) non si fa mancare davvero nulla a riguardo, snocciolando tutti i possibili “topoi” del genere. Questo non fa altro che stritolare i personaggi dentro meccaniche viste e riviste, fa scemare ben presto l’interesse nei loro riguardi divertendo d'altra parte la fruizione del piatto forte, ovvero l’azione, qui presentata con una verosimiglianza solitamente sconosciuta dalle parti della West Coast. Pur incorniciata nella solita patina di divismo e pompata dai bassi dell’immancabile colonna sonora hip-hop, il regista sembra impegnarsi per presentare su schermo un’azione credibile, palesando con forza tutta la durezza e la brutalità degli scontri e riuscendo di conseguenza a creare un buon coinvolgimento emotivo nello spettatore. Peccato però che oltre questo ci sia davvero poco, e quattro scazzottate ben girate fanno fatica a tenere in piedi centocinque minuti di film martoriati da personaggi insipidi e un intreccio narrativo immerso in un mare di cliché e banalità.


Di fatto, Fighting basa la sua stessa esistenza su una moda, su uno stile di vita da molti sognato oggigiorno negli States, quel connubio tra arti marziali e musica hip-hop che sembra avere incenerito i cervelli dei giovani americani, la cui unica aspirazione di vita rimane l’esaltazione fisica al ritmo incalzante della musica. Chiunque (e si spera siano la maggior parte) viva al di fuori di un'ottica così delirante non potrà che restare indifferente di fronte a quest'opera seconda, relegando ben presto Fighing nel meritato dimenticatoio.


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