Lawrence Talbot (Benicio Del Toro) è il figlio di un nobile Inglese, sir John Talbot (Anthony Hopkins). Dopo aver vissuto molti anni negli Stati Uniti, a causa della scomparsa del fratello decide di tornare a casa. Ma giunto in Inghilterra, a Blackmoor, l'uomo si trasformerà in lupo mannaro seminando paura e terrore nel villaggio. Del Toro si, ma quello sbagliato. Lo sconforto per il mal riuscito remake del padre di tutti i monster movie potrebbe riassumersi così. Nel tentativo di regalare attualità alla figura del licantropo la Universal si affida all’attore giusto, fallendo clamorosamente la scelta del regista. Se Benicio convince soprattutto grazie alla sorprendente somiglianza fisica ed espressiva con Lon Chaney Junior, Joe Johnston delude in pieno le pur tiepide aspettative: lasciando ampio spazio al rammarico relativo a quale risultato si sarebbe potuto ottenere se, in cabina di regia, si fosse accomodato un altro Del Toro, ovvero Gulliermo, decisamente più a suo agio con certe tematiche rispetto alla vergine firma di Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi e Hidalgo - Oceano di fuoco. Molti, praticamente tutti gli elementi che non tornano al termine di questa fallimentare operazione nostalgia. Principalmente quello relativo all’alterazione dell’originale e fatalista rapporto padre-figlio, colpevolmente modificato in fase di sceneggiatura dal tandem Walker&Self, o l’incomprensibile decisione di rivelare il mostro già in apertura di film; salvo tornare sui propri passi durante la prima, vera mutazione dell’uomo in bestia sanguinaria. Quest’ultima “lesinata” al dettaglio in fase di montaggio anziché rivelata a pieno schermo come lecitamente sarebbe giusto attendersi. Il nuovo Wolfman è un minestrone di errori e disattente leggerezze che tutto travolge. A partire da una regia già vista, disadatta persino nel ricalcare il modello vittoriano reso celebre dai fratelli Hughes con From Hell, fino ad arrivare all’eccessivo taglio digitale scelto per gli effetti speciali curati dall’intoccabile Rick Backer (Un lupo mannaro americano a Londra), qui decisamente al di sotto del suo talento; passando per uno script ciclopico, che stiracchia per quasi due ore la minimalista intuizione di Curt Siodmak. Un fornito campionario di buchi nell’acqua, capace di non risparmiare nulla e nessuno. Compresi due sceneggiatori in grado di vantare, nel proprio curriculum vitae, momenti di cinema riconducibili a Se7en, Il Mistero di Sleepy Hollow (Andrew Kevin Walker) ed Era Mio Padre (David Self). Il licantropo del 2010 non possiede magia, figuriamoci l’arcano. Non spaventa né affascina. Anzi, strappa un ghigno amaro quando dà per scontato che agli sgoccioli dell’800, gli abitanti del paesello Blackmoor sappiano da sé come utilizzare le pallottole d’argento.