
Bourne è ormai un uomo errante che trascorre la sua silenziosa esistenza guadagnandosi da vivere partecipando a incontri di boxe clandestina. Ma il passato, ancora una volta, torna a bussare alla porta: è proprio una sua vecchia conoscenza, Nicky Parsons, a contattarlo dopo aver hackerato informazioni segrete direttamente dai server della CIA, inerenti sia il progetto Treadstone che il dossier stesso dell'ex agente e del di lui padre. I due si danno appuntamento ad Atene durante una protesta di piazza ma i servizi segreti sono sulle loro tracce, con il direttore dell'agenzia Robert Dewey che invia sul posto un agente operativo con dei conti in sospeso proprio con Bourne. Quest'ultimo, dopo la tragica morte della Parsons, caduta sotto i colpi del cecchino, si troverà ancora una volta a cercare di scoprire la verità sulla sua vita precedente, sul reclutamento e sull'assassinio del genitore. Mentre al quartier generale della CIA la giovane Heather Lee, nuovo capo della divisione di cyber sicurezza, viene promossa al comando dell'operazione nel tentativo di riportare la mina vagante all'ovile, puntando sul suo senso patriottico e su un vecchio referto psicologico di molti anni prima. Lo spin-off The Bourne Legacy (2012) non aveva convinto praticamente nessuno: vuoi per un riciclo di situazioni e topoi visti e rivisti, vuoi per la totale assenza di Matt Damon, protagonista assoluto della saga. La star hollywoodiana e il regista Paul Greengrass hanno deciso, a quasi dieci anni dall'ultimo capitolo della allora originaria trilogia, di far ritorno all'ormai iconico personaggio del cinema spionistico con un quarto film, che ignora saggiamente quanto visto in quello con il "rimpiazzo" Jeremy Renner, per riportare alle tipiche e paranoiche atmosfere che avevano decretato la fortuna del franchise. Una scelta rischiosa dal punto di vista narrativo, visto che ormai tutto sembrava essere già stato detto; e non è un caso che sia proprio la sceneggiatura l'elemento più controverso di Jason Bourne, titolo volutamente assolutista, a consacrare ulteriormente l'attesa rimpatriata dell'action-hero. Viene infatti aggiunta ulteriore carne al fuoco al passato del Nostro, in maniera forzata e gratuita. Ma era forse l'unica soluzione per il definitivo come-back che, dal punto di vista stilistico, segue l'esaltante ritmo dei capitoli 2 e 3 proponendosi come un notevole intrattenimento per il grande pubblico e per tutti gli appassionati del filone. Bourne è qui assai più schivo e taciturno rispetto al passato, ma quando deve menare le mani non si tira indietro. E proprio sui connotati da azione pura le due ore di visione avvincono e convincono con naturalezza, tra incredibili inseguimenti su quattro ruote (spettacolare oltremisura la lunga resa dei conti finale tra le affollate strade di Las Vegas) e astuti escamotage, in una vera e propria mitizzazione del personaggio. Brillando per tenacia, abilità fisiche e intelligenza, Bourne si avvicina sempre di più ai canoni di un superuomo, destinato - come suggerisce l'aperto finale - a frequentare ancora per molto tempo il grande schermo. Il regista adotta nuovamente iperbolici virtuosismi tecnici e visivi, dando vita a riprese ad alto tasso tensivo, che lasciano senza fiato in più di un'occasione, e trova adeguato supporto nelle grandiose scene di massa (chirurgica la ricostruzione della rivolta ellenica ricreata alle Canarie) e nel palcoscenico ambientale, spostando l'azione dall'Europa agli States con innegabile scorrevolezza. Matt Damon, che ha seguito una ferrea dieta e lunghe sessioni di allenamento per ritornare in una forma fisica adatta al ruolo, è ormai un tutt'uno con relativo alter-ego filmico; il cast, oltre alla gradita ma breve ricomparsa di Julia Stiles, annovera new-entry di russo del calibro di Alicia Vikander, Vincent Cassel e Tommy Lee Jones, dando vita a figure scomode e ambigue al punto giusto. Per un'operazione forse non necessaria ma realizzata con dovizia e attenzione maniacale agli archetipi della saga e del filone che farà la gioia dei fan.