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Dumbo

27/03/2019 12:00

Matteo Marescalco

Recensione Film, disney live action, Dumbo, Dumbo,

Dumbo

Un inno alla vitalità e all'immaginazione

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C'era un tempo lontano in cui i film di animazione si disegnavano a mano. L'artigianalità del gesto contribuiva a creare un'aura attorno a un cartone animato, a maggior ragione se si parlava di un classico Disney. A guardare Dumbo, il quarto film prodotto dalla casa di Walt Disney, si comprende subito il motivo alla base del remake in live-action 2019 diretto da Tim Burton. L'elefante volante, infatti, ha tutti gli elementi in regola per aderire alla perfezione allo stile del visionario regista di Burbank. Ambientata nel colorato mondo del circo, la storia inizia con l'elefantessa Jumbo che attende l'arrivo del suo cucciolo. La prima sequenza è la principale responsabile del clima di tristezza di fondo che si respira lungo tutto l'arco del film. Ogni famiglia, infatti, celebra l'arrivo della cicogna, eccetto la signora Jumbo, rimasta senza marito. Sin dall'inizio, quindi, a partire dalla sua consegna ritardata, viene sottolineato il carattere particolare di Dumbo che, come se non bastasse, ha un vistoso paio di orecchie. Questa sua caratteristica lo rende il principale obiettivo di derisione degli altri animali e degli esseri umani che vanno al circo. A nulla servono i suoi occhioni azzurri e dolci, in grado di suggerire una profondità d'animo che gli altri elefanti non riescono minimamente ad intuire. Dumbo e sua mamma si ritrovano, quindi, a dover contare unicamente su sé stessi e sull'amore reciproco che li lega. Purtroppo, però, i due vengono separati. Grazie all'aiuto di Timoteo, un topolino che diventa il mentore di Dumbo, il giovane elefante darà vita al suo riscatto. Riuscendo a rialzarsi dalle proprie disfatte, Dumbo trasformerà ciò per cui viene deriso nel suo punto di forza, a dimostrazione che, oltre l'apparenza, c'è ben altro.


Sorvolando, per il momento, sullo stile dell'animazione e sui voli pindarici della famosa sequenza degli elefanti rosa, ciò che colpisce in questo film d'animazione risiede nel suo carattere di estrema modernità e apertura. Nel 1941, infatti, era decisamente difficile pensare che una madre sola ed emancipata potesse crescere il proprio figlio. E, ancora più difficile, probabilmente, era pensare di inserire un personaggio del genere in un film di animazione prodotto per il pubblico di massa. All'epoca, la Disney era in difficoltà finanziarie a causa della guerra in Europa, che aveva causato i fallimenti al botteghino di Pinocchio e di Fantasia: Dumbo fu in grado di affermarsi, contro ogni aspettativa, come il maggior successo degli anni '40 per lo studio americano. Lo stile semplice e disinvolto di un'animazione messa al servizio di un racconto dalla pluralità di possibilità di lettura ha decisamente ripagato. I fondali utilizzati, infatti, non sono complessi e ricchi come quelli di Pinocchio o di Biancaneve e i sette nani. Nonostante ciò, comunque, quello che sarebbe potuto essere un elemento di debolezza si rivela come un motivo in più per cogliere il messaggio alla base del film e per concentrarsi soprattutto sull'importanza della narrazione.


Dumbo è un inno alla vitalità e all'immaginazione, una storia sull'amore e sull'accettazione dell'altro da noi. Solo l'ascolto e la comprensione del diverso (che, in fin dei conti, è semplicemente il nostro speculare) possono farci comprendere le motivazioni alla base delle nostre azioni e la multiforme bellezza del mondo. Credere in sé stessi e, perché no, credere che persino gli elefanti possono volare e che nulla è precluso è il più grande dono fatto dalla casa di Walt Disney nel corso della sua storia. E, come già detto, questo dono non poteva che essere raccolto da un regista come Tim Burton, fedelissimo al potere curativo delle storie e alla ricchezza interiore degli emarginati.


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